Archivio mensile:Marzo 2012

Chiusi per inciviltà

Ribadisco il concetto. Fino a che negli stadi italiani ci saranno episodi del genere, o cori razzisti contro giocatori di colore. E fino a che le società non faranno nulla per isolare ‘ste bestie. E fino a che il tifo sano non riuscirà a prendere il sopravvento su ‘ste bestie, gli stadi vanno chiusi.

Up patriots to arms

La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi non viene dalle stelle
alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena potete stare a galla.
E non è colpa mia se esistono carnefici se esiste l’imbecillità
se le panchine sono piene di gente che sta male.

Nascere o morire

Da quel che si può leggere sui giornali, la proposta di riforma del mercato del lavoro, formulata dal governo e accettata da tutte le parti sociali tranne la CGIL, presenta aspetti positivi (pochi) e aspetti negativi (molti). La semplificazione nella jungla dei contratti atipici e la trasformazione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi è un passo in avanti anche se, quasi sicuramente, la maggiore tassazione dell’1,4 % finirà per essere scaricata sulle retribuzioni. Resta da sciogliere il nodo delle finte Partite IVA, e non mi sembra che possa essere sufficiente l’impegno del governo e delle parti sociali ad un impegno per un “contrasto secco” al fenomeno. Buona anche la sperimentazione sulla paternità obbligatoria. Ciò che, ovviamente, è inaccettabile, è la riforma dell’articolo 18 (a parte l’estensione del diritto al reintegro in caso di licenziamento per motivi discriminatori alle aziende con meno di 15 dipendenti). Non c’è alcuna evidenza, da un punto di vista economico-scientifico, del nesso tra l’articolo 18 nella sua attuale formulazione e la ritrosia delle aziende ad assumere. Sono chiacchiere. L’articolo 18 rappresenta un elemento di civiltà per il semplice fatto di stabilire che un diritto, come quello al lavoro, non è monetizzabile. Punto. Non ci sono 15 o 27 mensilità di indennizzo che tengano. Nel dibattito in corso negli ultimi mesi il concetto onnipresente era quello di spostare la tutela dal posto di lavoro al lavoratore. Mi sembra che in questo modo si sacrifichino sia l’uno che l’altro.

Ma al di là del merito del provvedimento, passibile di modifiche più o meno sostanziali nell’iter di approvazione in Parlamento, ciò che colpisce è il metodo. La concertazione è oggi vista come un disvalore, il male assoluto. Il centrosinistra e il PD hanno osannato per anni il modello Ciampi, portato ad esempio di come coniugare riformismo, rigore economico e pace sociale. Monti e il governo si sento tronfi per aver imposto un modello di riforma senza il consenso della CGIL. Uguale a Sacconi. E infatti il PDL esulta.

Il Partito Democratico deve decidere (e sarà costretto a farlo nel corso del dibattito parlamentare che seguirà alla presentazione della riforma), se la coesione sociale debba essere ancora un principio ispiratore della propria azione politica o se, invece, quel tempo è definitivamente tramontato. E con esso l’idea di PD che molti di noi hanno coltivato. Sempre che sopravviva, il PD, a tutto ciò.

Il nuovo cammino del PD Lazio (e portiamoci appresso la bussola)

E così oggi, in concomitanza con il 151esimo anniversario dell’Unità d’Italia, inizia una nuova fase nella vita del PD Lazio. L’assemblea regionale ha ufficialmente designato Enrico Gasbarra alla guida del Partito Democratico, e al nuovo segretario vanno tutti i miei auguri di buon lavoro.  Ad Enrico spetta un lavoro non facile, perché il partito viene da anni di lacerazioni e contrapposizioni interne, e perché ci aspettano delle sfide difficilissime nelle elezioni amministrative che si celebreranno nel 2012 e nel 2013. Nel suo discorso di insediamento Gasbarra ha dimostrato di avere la consapevolezza di tutto ciò e si è quindi più volte appellato all’unità del PD Lazio affinché il partito possa presentarsi in maniera forte ed autorevole sulla scena politica regionale. Per costruire un’alternativa credibile ai disastri della giunta Polverini e ovunque il centrodestra governi (mi viene in mente la Provincia di Latina, chi sa perchè?), per supportare le amministrazioni di centrosinistra attualmente al governo, per essere un punto di riferimento laddove il PD è all’opposizione.

Enrico Gasbarra potrà vincere la sua sfida se avrà dalla sua un partito più compatto possibile, certo. Ma soprattutto se dimostrerà di essere quanto più “autonomo” rispetto alle differenti correnti del partito che lo hanno supportato nella sfida delle primarie. Abbia il coraggio, Gasbarra, di esercitare la sua leadership pressoché plebiscitaria (eletto con più dell’80% dei consensi) per imporsi anche su chi, il partito, vorrebbe ingessarlo e sottometterlo al potere dei capibastone.

Le primarie consegnano a Gasbarra un partito vivo. Un partito con innumerevoli problemi ma vivo. Un partito che discute. E se discussione c’è stata, in questi mesi, il merito è del coraggio di Giovanni Bachelet, che è stato l’unico a volere, sul serio e fino in fondo, le primarie per l’elezione del nuovo segretario regionale.

Sicuramente il PD Lazio ha bisogno, usando le parole di Gasbarra, di una strambata. E ne ha bisogno soprattutto laddove è stato storicamente più debole, ossia nelle province pituttosto che nella Capitale. È un dato acquisito, anche a livello nazionale, come il PD debba riacquistare la capacità di parlare alle piccole realtà territoriali dove si sviluppa il piccolo ceto produttivo, la media impresa, l’attività artigianale, il comparto agricolo. E tutto ciò è stato dimostrato drammaticamente alle ultime elezioni regionale, nelle quali il PD ha sostanzialmente tenuto a Roma e provincia ma è miserevolmente crollato a Rieti, Viterbo, Frosinone, Latina.

Il PD Lazio, quindi abbia la forza di essere, da oggi, un partito un pò meno romanocentrico e più attento ai suoi territori. In questo senso, oggi, c’è stato un bel segnale. La designazione a vice-presidente dell’assemblea regionale dell’amico Fabio Luciani. Un riconoscimento alle capacità umane e politiche di Fabio, al contributo che la provincia di Latina ha saputo offrire alla sfida della mozione Bachelet. Ma, soprattutto, un riconoscimento al ruolo fondamentale che le province devono svolgere in questa nuova fase della vita del PD Lazio. Spiace che proprio ciò non sia stato capito, oggi, da un pezzo del partito della provincia di Latina, che ha preferito guardare al personale orticello di un paio di capopopolo locali, coinvolti in imbarazzanti vicende di rinvii a giudizio della magistratura e incompatibilità statutarie al vaglio della commissione di garanzia provinciale di Latina, e quindi polemizzare strumentalmente per motivi che poco hanno a che fare con gli interessi del Partito Democratico regionale.

Il mio ultimo auspicio, infine, è che il neo segretario sappia finalmente indicare una direzione nella quale il PD Lazio sappia stringere le alleanze con le altre forze politiche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Mi sembra di aver capito che il punto di partenza debba essere il centrosinistra “classico” allargato, ove possibile, ad altre forze politiche. Ecco, se allargamento deve esserci, che ci sia sulla base di principi inderogabili: difesa della legalità, difesa dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, difesa dei beni comuni, discontinuità rispetto al malgoverno della Regione e delle province. Solo su queste basi sarà possibile stringere alleanze con la necessaria dignità, se davvero si vuole che il Partito Democratico del Lazio svolga un ruolo di guida nelle coalizioni che si sfideranno con il centrodestra per il governo delle nostre comunità.

In conclusione, auguri, Enrico.

Cicciobello nasconditi

Della serie, querelateci tutti! E allora pubblico integralmente il post di Alessandro Gilioli sulla vicenda Lusi-Rutelli. Così saremo almeno due, eventualmente, ad essere chiamati in giudizio per aver pubblicizzato quanto contenuto nell’inchiesta de L’Espresso.

Ho letto più volte, e con molta attenzione, il comunicato con cui Francesco Rutelli ha reagito all’inchiesta di Primo Di Nicola ed Emiliano Fittipaldi.

E’ un documento impressionante di quello che è diventata la politica o, speriamo, una fetta della politica.

Prima di tutto, il merito.

Rutelli non nega – non può negare – la notizia di fondo: e cioè che la fondazione Cfs da lui fondata e presieduta ha preso una valanga di soldi dalla Margherita – Lusi tesoriere – a partire quando il medesimo Rutelli ha fondato il suo nuovo partito, l’Api.

Non so se ci sia un fatto giuridicamente rilevante in questo: so però che evidentemente i ‘rimborsi elettorali’ della Margherita, quando questa era già confluita nel Pd, sono serviti a finanziare le attività politiche di uno che dal Pd se n’era andato e aveva appena creato un partito concorrente e di un altro schieramento (il centro con Casini e Fini).

Allo stesso modo, Rutelli non può negare che Lusi, in quanto tesoriere della ex Margherita, ha versato un’altra valanga di soldi della ex Margherita a un comitato defunto da anni (Cento Città) di cui sempre Lusi era tesoriere: soldi che poi Centocittà ha passato alla fondazione di cui sopra,che a sua volta li ha girati alla neonata Api, che non li ha messi a bilancio.

In nessun passaggio del comunicato di Rutelli, notate bene, queste notizie vengono smentite.

Dice invece il leader dell’Api, parlando di sé in terza persona: «Rutelli non ha avuto personalmente neppure un centesimo dalla Margherita: ha svolto il suo incarico a titolo assolutamente gratuito».

E infatti il problema non è questo.

Il problema è il finanziamento (occulto) da parte della fu Margherita, via Lusi, alla fondazione di Rutelli e poi direttamente all’Api, mentre questa stava nascendo. E il secondo problema è che per quasi due mesi Rutelli ha sostenuto con veemenza di non aver mai preso un soldo da Lusi: una pubblica menzogna, a meno che non s’intendesse che non ha preso soldi privatamente, per usi personali.

Poi Rutelli dice anche che tutto è avvenuto «nel pieno rispetto delle regole e delle previsioni statutarie». Ed è vero, esattamente come Di Nicola e Fittipaldi hanno scritto: «Tutti i versamenti sono inferiori (spesso di poco) alla soglia dei 150 mila euro. Guarda caso, lo statuto della Margherita nel comma 7 delle sue “Disposizioni finali” prevede che durante la fase di costituzione del Pd “gli atti di straordinaria amministrazione e quelli di ordinaria amministrazione di importo superiore a 150.000 euro sono adottati congiuntamente dal Tesoriere e dal Presidente del Comitato Federale di Tesoreria”».

Quindi sono versamenti che hanno rispettato lo Statuto. Io direi aggirandolo, ma vedete un po’ voi.

Poi c’è il metodo.

Che è ancora più impressionante.

Non solo perché Rutelli accusa esplicitamente L’Espresso di aver preso parte al compimento di un paio di reati gravi (inquinamento delle prove e depistaggio!) ma soprattutto per quella frase finale: «L’Espresso (che ha ricevuto e riceve molti fondi pubblici), e quanti riportassero tali diffamazioni, saranno chiamati a rispondere in giudizio». Cioè, la minaccia di querela o causa civile non viene brandita solo verso la testata che ha pubblicato l’inchiesta, ma verso chiunque «riportasse tali diffamazioni».

Attenzione, perché è un salto di qualità, nelle intimidazioni dei politici: si minaccia chi parla dell’inchiesta dell’Espresso, chi ne riporta la notizia su altra testata o nel suo blog, probabilmente perfino chi la linka.

Insomma, è un’intimidazione universale.

Stamattina, alla macchinetta del caffè con Primo Di Nicola, si notava un po’ ridendo e un po’ no che se questa cosa l’avesse fatta Berlusconi saremmo già tutti in piazza.

Fare chiarezza

Casini mi sta sul culo. Profondamente. E non è una novità. Però non credo che sia un pazzo. Non credo parli a vanvera. Allora vorrei che qualcuno, nel PD, dicesse ora, subito, definitivamente, inequivocabilmente, che di proseguire con l’alleanza PD-UDC-PDL, Monti o non Monti, nella prossima legislatura, non se ne parla. Grazie.