Archivio mensile:Settembre 2013

L’imprevedibile

È successo. Il PDL che grida al colpo di stato. Le larghissime intese che (forse) saltano, bruciate, sacrificate, immolate sull’altare della ragion dello stato libero di bananas. Un alleato affidabilissimo che in perfetta continuità con vent’anni di storia patria pensa solo ed esclusivamente alle vicende personali del proprio capo padrone. E chi l’avrebbe mai detto?

Un ossimoro: larghe intese stabili

O una tautologia: larghe intese instabili. E ci fa ridere per non piangere, il premier Enrico Letta detto ilgiovanevecchio. Quando dice che se il PIL scende più del previsto e il deficit sale più del previsto è colpa dell’instabilità. Come se le larghissime intese non contenessero, in sé, il più deleterio dei germi, ossia l’instabilità politica permanente.

Per questo

Ci penso. Davvero. Di cosa avrebbe, ha, avrà bisogno il PD. E il Paese. Parole chiare. Prospettive. Strade. Fatte di pietre, magari. Anche senza asfalto. Ma strade da seguire. Con  i piedi che sanguinano, le gomme che scoppiano, magari. Però sai dove andare, metti gli stracci nella gomma e procedi. Il mastice no, quello azzecca tutto e il contrario di tutto. E poi fai la fine di Veltroni. Che voleva tenere insieme Binettilatorredalemabersanifranceschiniorfinifassinafassinobianco. E così metti insiemeIchinoboeribinettiscalfarottodelriofioronibiancolatorreveltronifransceschinimoscardelli, tanto va bene tutto, pur di vincere. E poi vincere cosa, boh, che abbiamo perso vent’anni appresso agli slogan, e se non sei MLK o JFK gli slogan non è che te li puoi permettere, sai. Ecco di cosa ha bisogno il PD. Prospettive. Voglio che l’unione tra due persone dello stesso sesso si chiami M-A-T-R-I-M-O-N-I-O. Voglio che i 101 non stiano più in Parlamento a far danni. Voglio che non si consumi più suolo. Voglio che i circoli tornino ad affollarsi di persone che contano perchè pensano e non perchè pesano. Voglio che chi più ha più dà, e che il lavoro costi meno, molto meno. Per questo voglio Civati segretario. Null’altro.

A ciascuno le sue priorità

Un week end abbastanza movimentato, direi. Ma anche, dopotutto, uguale a sé stesso. La stampa che non fa la stampa, candidati (facciamo candidato) oscurati, notizie false spacciate per vere, smentite vere (del nulla) e mancate smentite. Ho idea che vivremo un altro po’ di settimane così, ma non è un problema, quando hai un candidato alla segreteria del PD così:

Molti mi dicono: devi andare di più in tv, e hanno ragione, e le tv mi invitano, e non è questo il punto. Il punto è che se scegli di attraversare tutte le Feste del Pd che è umano visitare, poi non hai molte sere libere (e nemmeno i pomeriggi, e le mattine – molto presto – quando ti sposti da un capo all’altro del Paese). E se cerchi di non bucare le sedute del Parlamento, anche. La vita è fatta di priorità: per me, come ogni estate, la priorità è incontrare i nostri elettori, da vicino, andandoli a trovare. Non so se è la scelta giusta, dal punto di vista comunicativo ed elettorale, ma per me è la scelta giusta e doverosa sotto il profilo politico. Nel momento in cui tutto sembra così lontano – dalla realtà e dagli elettori – bisogna farsi prossimi, con molta umiltà e con l’attenzione necessaria. Non soltanto alle risposte, ma soprattutto alle domande. Che sono molto più importanti.

Sarà una mia impressione


Fonte: La Repubblica

Premessa. L’opinione che ho di Ignazio Marino resta immutata. Ma a volte vale la proprietà transitiva: se Bettini endorsa Renzi e Marino è una creatura di Bettini, allora Marino endorsa Renzi. Tutto legittimo, sia chiaro. Però a volte la proprietà transitiva può anche non dare i risultati sperati. Al di là di Bettini la grande forza di Marino, soprattutto nelle primarie (ricordiamo che ha stracciato Sassoli e Gentiloni), è stato il suo essere, oltre che apparire, altro rispetto alla nomenklatura del PD. Ho come l’impressione che allearsi con il sindaco ma anche con Fioroni, Franceschini, Fassino, Latorre, Veltroni e compagnia bella non darà ai renziani, nella capitale, il risultato sperato.

Se vuoi la pace prepara la pace…con la politica

Ci risiamo. Sembra proprio che l’occidente non possa fare a meno di una guerra, ogni tanto. Dico occidente intendendo i paesi che diventano protagonisti dei conflitti e non il luogo fisico dove si combatte, perché in alte parti del mondo guerre ce ne sono eccome. Dimenticate, ma ce ne sono. E sembra anche che non possa nemmeno fare a meno di un nuovo public enemy number one, a intervalli regolari. Saddam, Gheddafi, ora Assad. Sia chiaro, sono pazzi sanguinari che hanno trucidato e trucidano i propri concittadini, il proprio popolo. Nulla giustifica le loro azioni, la loro disumanità, le atrocità commesse. Ma, come si suol dire, sono (erano) carte conosciute. Buone per un determinato contesto storico e geopolitico, cattive qualche anno dopo. E quando sono buone si fanno affari, si ricevono con tutti gli onori che competono ai capi di stato, sono considerati baluardi degli equilibri internazionali. Quando sono cattive si bombardano (e si continua con gli affari). Da un pò di tempo l’attenzione si rivolge alla Siria, e si sa che le immagini che ci arrivano a ora di pranzo e cena, alla lunga, generano indignazione e ci fanno sembrare giusto un intervento militare, basta poter ricominciare a mangiare in santa pace senza vedere tutto quel sangue. Sangue che c’è, che sta lì, così come sta in Darfur, in Ossezia, in Daghestan o in tante altre parti del mondo.

Tornando a Saddam e Gheddafi, abbiamo fulgidi esempi del fallimento delle strategie belliche messe in atto da USA, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina (e da tutta l’ONU) negli ultimi conflitti. Che la democrazia non si esporti con le armi sembra ormai evidente a tutti, e anche l’eliminazione fisica del massacratore di turno non ricompone, per magia, le divisioni etniche, religiose, economiche che caratterizzano i paesi che si vorrebbero pacificare. Finché le grandi potenze del mondo continueranno a considerare le regioni del mondo sede dei conflitti come protettorati da utilizzare in funzione dei propri interessi economici non ci sarà guerra che possa servire a preparare la pace. Serve la politica, la politica credibile che sia in grado di dare sponde autorevoli ai protagonisti delle primavere (arabe e non solo arabe) che esplodono, con tutte le loro contraddizioni, dove c’è sottosviluppo, disperazione, miseria. Anche questo è compito della sinistra. Sarà compito della sinistra. In Italia, in Europa, nel mondo. Nel frattempo evitiamo un’altra guerra assurda e inutile.