Che belle le primarie del 2005. E anche quelle del 2007.
Erano giornate allegre. Giornate tranquille. Certo, c’era qualche provocatore, qualcuno dell’altra parte, riconoscibile, che ti sfidava e diceva: vengo pure io a votare, vediamo che succede. Ma erano casi isolati, che non inficiavano l’esito del voto.
Non che fossero consultazioni prive di dibattito, di discussioni, di contrasti. Ma erano belle primarie perché chi partecipava aveva la sensazione di contribuire alla costruzione di una casa comune, un luogo riconoscibile, nel quale tutti ci saremmo sentiti al sicuro.
Poi sono arrivati i soliti, quelli che maneggiano la democrazia come fosse un rotolo di carta igienica, quelli delle filiere, del consenso comprato con il potere, quelli del Frà che te serve, quelli dei circoli personalizzati, dei congressi senza dibattito, delle tessere usa e getta.
E poi sono arrivati quelli di destra, che prima vedevamo come fumo negli occhi, nelle nostre consultazioni, e adesso invece possono anche organizzarsi per venire a votare alla luce del sole.
Quelli di destra che mi fanno più paura degli extracomunitari in fila ai seggi. Perché gli extracomunitari, al solito, sono solo sfruttati per fare numero, a favore di questo o di quel candidato. Poi spariscono, fino alla prossima occasione.
Gli elettori di destra, invece, partecipano perché trovano proposte politiche, e persone, nelle quali si riconoscono. A volte trovano candidati che fino a pochi mesi prima stavano con altri partiti, nello schieramento teoricamente a “noi” avverso. E l’asse continua a spostarsi.
È la democrazia, baby.
Certo, ma non è nemmeno più casa mia.