A dirla tutta supera anche il maestro. La campagna referendaria per l’astensione sul referendum No-Trivelle va ben oltre l’invito di Craxi ad andare al mare. Lì c’era una parvenza di disimpegno, oggi addirittura si impegnano energie per far fallire la consultazione. Nemmeno il coraggio di parteggiare apertamente per il No. Una vigliaccheria politica senza precedenti. Che pena, ragazzi.
Archivi giornalieri: 17 Marzo 2016
Il voto aggirato di milioni di persone
Stefano Rodotà, dalle pagine de La Repubblica, argomenta sui referendum:
“Vengono invece poste tre serissime questioni politico-istituzionali: come riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, per cercar di restituire a questi la fiducia perduta e avviare così anche una qualche ricostruzione dei contrappesi costituzionali; come evitare che si determini una inflazione referendaria; come riprendere seriamente la riflessione su “ciò che resta della democrazia” (è il titolo del bel libro di Geminello Preterossi da poco pubblicato da Laterza). Ma sarebbe grave anche giungere alla conclusione che l’unico referendum che conta sia quello, sicuramente importantissimo, sulla riforma costituzionale, e che tutti gli altri non meritino alcuna attenzione e che si possa ignorarne gli effetti.
Sembra proprio questa la conclusione alla quale maggioranza e governo sono giunti negli ultimi giorni, nell’approvare le nuove norme sui servizi idrici, che contraddicono il voto referendario del 2011. Quel risultato clamoroso avrebbe dovuto suscitare una particolare attenzione politica e, soprattutto, una interpretazione dei risultati referendari la più aderente alla volontà dei votanti. E invece cominciò subito una guerriglia per vanificare quel risultato, tanto che la Corte costituzionale dovette intervenire nel 2012 con una severa sentenza che dichiarava illegittime norme che cercavano di riprodurre quelle abrogate dal voto popolare. Ora, discutendo proprio una nuova legge in materia, si è prodotta una situazione molto simile e viene ripetuto un argomento già speso in passato, secondo il quale formalmente l’acqua rimane pubblica, essendo variabili solo le sue modalità di gestione. Ma qui, come s’era cercato di spiegare mille volte, il punto chiave è appunto quello della gestione, per la quale le nuove norme e il testo unico sui servizi locali fanno diventare quello pubblico un regime eccezionale e addirittura ripristinano il criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” cancellato dal voto referendario.
È evidente che, se questa operazione andrà in porto, proprio il tentativo di creare occasioni e strumenti propizi ad una rinnovata fiducia dei cittadini verso le istituzioni rischia d’essere vanificato. Se il voto di milioni di persone può essere aggirato e messo nel nulla, il disincanto e il distacco dei cittadini cresceranno e crollerà l’affidabilità degli strumenti democratici se una maggioranza parlamentare può impunemente travolgerli.
Questo, oggi, è un vero punto critico della democrazia italiana, non il rischio di una inflazione referendaria…”
La conservazione dell’attuale modello di sviluppo (senza ricorrere a Freud)
L’arrampicata sui vetri, con tanto di rumore di unghie che ti fanno drizzare i peli sulle braccia, appare come lo sport più praticato in certi ambienti turbo-renzian-democratici.
Prendete il referendum sulle trivelle. Loro stanno lì con il ditino alzato, e ti ricordano che non si tratta di fermare nuove trivellazioni (il fantasmagorico governo del fare ne ha già bloccate di nuove, oltre le 12 miglia!!!), ma semplicemente di non rinnovare la concessioni alla loro naturale scadenza per le prospezioni entro le 12 miglia. E ti ricordano che che le risorse che un domani non estrarremo dai nostri mari dovremo comunque acquistarle, e quindi la situazione globale dal punto di vista dell’impatto ambientale non cambia, anzi peggiorerà. La cosa più stupefacente è che lamentano la politicizzazione del referendum, cosa che abbaglierebbe le masse distogliendole dal merito del quesito. Ora, che i più strenui difensori del premier che più nella storia sta politicizzando un quesito referendario (quello sulla riforma Costituzionale), per legare il suo destino ad un passaggio democratico che allontana i riflettori dal merito della riforma, vengano a formulare una tale osservazione, beh, è davvero tragicomico. Ma si sa. I turborenziani perdono qualsiasi freno inibitore, quando si tratta di difendere le scelte del loro capo.
Lamentano, udite udite, la possibile nascita di una grande coalizione sociale che si batta per le fonti di energia rinnovabili. Come sei i referendum, storicamente, non abbiano contribuito a creare una coscienza collettiva, un dibattito nel Paese che ha consentito di mutare i paradigmi sui quali si fondava la società fino al loro svolgimento, tipo i quesiti su aborto e divorzio.
E quindi? Ben venga che i referendum NO-Triv, al di là del merito del quesito, contribuiscano a definire verso quale modello di sviluppo vogliono tendere, con le loro scelte, i cittadini. E non mi sembra nemmeno una questione troppo tecnica, dopotutto. Il senso del referendum è rinnovabili si, rinnovabili no. Come fu per il referendum sull’acqua pubblica. Si o no. Che poi decidiate anche voi di fregarvene del voto degli italiani, beh, non mi stupisce.
Infine, si dice che il SI al referendum comporterebbe l’acquisto di risorse energetiche non estratte dai giacimenti italiani d altre parti, per 5 miliardi di Euro. Ecco, forse sarebbe il caso investire davvero in fonti rinnovabili per evitare di dover ricorrere ancora a petrolio o gas per soddisfare i nostri bisogni energetici. Tipo iniziando ad installare il fotovoltaico sugli edifici pubblici cercando di non consumare suolo agricolo per l’installazione di nuovi impianti.
Troppo difficile per chi ha seppellito, con il PD, anche qualsiasi riferimento alla difesa dell’ambiente. Prendetene atto, risparmiatevi le sedute dallo psicanalista. Siete diventato questo: una forza conservatrice.