Puntuale come il classico acquazzone d’estate che arriva di pomeriggio, sul tardi, e tu già sai che è una maledizione perché tempo 5 minuti e l’aria sarà ancora più afosa e appiccicosa di prima, ecco l’intervento di Veltroni sul futuro della sinistra.
Ora, io umanamente a Veltroni voglio bene, e il suo intervento me lo sono letto con l’attenzione che meritava. Però posso dire? Che palle!
Una enunciazione di principi generali sui quali chiunque, da sinistra, potrebbe essere d’accordo, ma che perdono di valore se non si fa un minimo di analisi in chiave critica (e soprattutto autocritica) per capire come si sia arrivati a questo punto, chi abbia alimentato, più o meno consapevolmente, populismi, nazionalismi, razzismi che tanto spaventano Veltroni (sia chiaro, spaventano anche me).
Di fondo, l’idea che il PD fosse (e sia ancora), l’unica strada percorribile, che dopotutto un paio di volte oltre il 30% ci è arrivato e quindi basta mettere da parte litigi per contrastare le destre in maniera efficace. Non una parola sul fallimento primordiale del PD, che da subito è stato affetto da guerre tra bande che nessun segretario si è premurato di debellare, non una parola sull’appoggio incondizionato a Renzi e alla sua stagione di pseudo riforme che hanno spalancato le porte a tutto ciò che avviene in questi giorni, ma soprattutto non una parola sull’impianto fallimentare del PD, basato su un modello di stampo blairiano, liberista, neo socialdemocratico, arreso alle logiche dei mercati e dei vincoli di bilancio senz’anima. Faccio autocritica anche io, che ho provato da dentro, per quel poco che ho potuto, a cambiare il percorso del partito nel quel ho militato per un bel po’ di anni.
E subito, dopo lo scritto di Veltroni, si sono annunciate adesioni, partiamo!, è la strada buona, ricostruiamo la sinistra (!!), corroborati dalla bella manifestazione di Milano che si è tenuta in concomitanza della visita del dittatore Orban al suo parigrado italiano.
Ma più che l’ipotesi di un’ammucchiata generale CONTRO l’attuale governo, altro non si riesce ancora a partorire.
La situazione non è semplice, la mazzata di marzo, benché più che prevedibile, non è stata per nulla assorbita da nessuno dell’opposizione. Personalmente continuo a brancolare nel quasi-buio, mentre fiammelle continuano a tenermi viva la speranza e provano ad indicarmi un percorso. Avrebbe senso un cartello elettorale (si potrebbe votare prima di quanto si pensi, e comunque ci sono anche le elezioni europee, l’anno prossimo) anti-razzista, spruzzato da un po’ di società civile e associazionismo, senza che le sue componenti abbiano uno straccio di idea comune sul mercato del lavoro, sul ruolo dell’Europa, sull’immigrazione, insomma sul modello-Paese che si immagina da qui a vent’anni? Per lo più fatto, magari, dagli stessi personaggi che già alle ultime elezioni hanno ampiamente dimostrato di non godere di alcuna fiducia da parte della stragrande maggioranza degli italiani e tanto meno degli italiani di sinistra? E ancora, ha senso presentasi, invece, ciascuno con le sue bandierine, ciascuno forte del suo zerovirgolaqualcosa, ciascuno con il ditino alzato da grillo parlante, formazioni politiche con democrazia interna solo apparente che sembrano solo funzionali al perpetuarsi delle proprie classi dirigenti?
Nel mezzo, deve esserci dell’altro. Deve esserci la forza di delineare una società nella quale la politica (serve sempre la politica, altrimenti di delega in delega si arriva dove la storia ci ha insegnato), da sinistra, riesca a riconnettersi con gli ultimi, con i bisognosi, con le persone alle quali i cicli economici uniti a provvedimenti sbagliati hanno tolto risorse economiche, certezze sul futuro, alimentando paure sulle quali è facile far leva additando nuovi nemici come la causa della loro povertà, ora gli stranieri, ora l’Europa. Occorre, da sinistra, riconnettersi alle periferie, quelle fisiche e quelle dello spirito, disinnescando la guerra tra poveri che può passare solo dall’efficienza dei servizi, da un welfare che funzioni, da investimenti sulla scuola, sulla cultura in tutte le aree e per tutte le persone che attualmente sembrano abbandonate al loro destino. E dall’occupazione, equamente retribuita, con diritti universalmente riconosciuti e non elemosinati al padrone di turno.
Il primo banco di prova saranno le elezioni Europee. Già per quell’occasione sarebbe importante capire se c’è volontà, più che spazio politico, per immaginare un terza via rispetto alle opzioni “tutti insieme appassionatamente” e “ognun per sè”.