Archivio mensile:Maggio 2020

Impressioni di maggio

Al sessantaquattresimo giorno sono uscito. O meglio, mi sono allontanato di più di 200 metri da casa. Ancora un po’ e avrei potuto scrivere Il giro di casa in 80 giorni. 

Uscito, poi. Insomma. In macchina da casa fino a destinazione, Google Maps dice 8,9 km ad andare e circa quelli per tornare.

Impressioni.

Anche a Roma la natura ha provato a riprendersi la città. Cioè, non ha mai smesso. E bisogna riconoscere che ci riesce abbastanza bene, con Virgy che le dà una mano da tre anni ormai. E poi colpiscono i manifesti, sui cartelloni, sui muri, lisi, strappati, sbiaditi, che riportano eventi lontani, passati, abortiti.

Gente in giro si, ma non tanta. Solito andamento del traffico tendente all’anarchico, solite macchine in doppia fila, soliti ciclisti  e motorini che passano con il rosso. Che poi prima si poteva avere fretta, ma adesso?

Chi era stronzo è rimasto stronzo, chi non lo era si spera che non lo sarà mai.

E questo in generale vale per tutte le aspettative che l’emergenza sanitaria ha generato in questi due mesi e passa. Non mi sembra che a livello collettivo sia maturata, o sia divenuta patrimonio comune, l’esigenza di un modello di sviluppo diverso, di una maggiore cura per il pianeta, per la salute pubblica, per chi è rimasto indietro, per chi è povero. Chi aveva già questa sensibilità magari l’avrà accresciuta, nella consapevolezza che nessuno si salva da solo, chi non ce l’aveva prima si sarà sempre più convinto che ciascuno basta a sé stesso, e gli altri si fottano.

Per non parlare del clima politico, del dibattito politico. Sempre, immutabilmente, desolatamente uguale. Una classe politica specchio fedele del Paese che l’ha espressa, ci fosse qualcuno capace di indicare concretamente una strada diversa per evitare gli errori del passato. Quegli errori che hanno chiesto il conto tutti in una volta, da febbraio ad ora e per chissà quanto tempo ancora, stando così le cose. La demolizione della sanità pubblica, la mortificazione della scuola e della ricerca, lo smantellamento degli apparati dello Stato, la negazione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini che versano in condizioni di difficoltà economiche. Con il volontariato a tappare quei buchi che chi ha creato ha lasciato lì a diventare voragini.

E poi l’effetto Actarus.

Vedi le persone, molte ma fortunatamente non tutte, con le mascherine, con i connotati nascosti. È una mia percezione distorta, ma mi appaiono come automi, come corpi senza anima, come ombre. La distanza che quel pezzo di stoffa mette tra te e l’altro mi appare abissale, a maggior ragione se poi negli occhi intravedi paura, diffidenza, angoscia. Ancor più mi appare insostenibile questa barriera fisica al pensiero di relazionarmi con persone che conosco, con persone a me care, con gli amici, che usualmente abbracciamo, tocchiamo, stringiamo. La prima sensazione è quella di fuggire da questa nuova realtà, e di volere tutto esattamente come prima, senza barriere, senza vincoli, senza preoccupazioni, senza surrogati, senza compromessi, aspettando il ritorno alla completa normalità. Poi magari ci facciamo l’abitudine, ma per ora non è così.

Un po’ di più che un post da strapazzo sui social

Un giorno forse mi verrà voglia di scrivere qualcosa di serio su questi due mesi surreali, su questo tempo duro, durissimo (ma non chiamatela guerra, grazie) che ci ha tenuto come sospesi e che ha sospeso pure la mia voglia di scrivere, di mettere in parole le sensazioni, i sentimenti, di capire meglio sé stessi semplicemente lasciando fluire i pensieri tra cervello e dita. Roba troppo grossa, per ora. Non è il tempo, ancora.

Forse per esorcizzare l’indeterminatezza della situazione ed essere più leggeri, quello strano mondo parallelo che sono i social ci hanno messi a durissima prova con quelle catene di San Zuckerberg su libri, canzoni, film. Ho fatto la mia parte, e mi scuso se ho coinvolto qualcuno che di catene e di santi proprio non vuol sentir parlare, e mi scuso pure se qualcuno moriva dalla voglia di essere coinvolto e me lo sono dimenticato. Per autocitarmi, si potrebbe davvero andare avanti all’infinito, co’ ‘ste cose.

Ciascuno di porta nel cuore i suoi libri e la sua musica e i suoi film, e nei socialgiochetti uno, appunto, ha giocato, magari provando ad associare il libro, la canzone, il film ad una o a più persone da coinvolgere nel cazzeggio. E quindi magari non sempre le scelte hanno riguardato i libri, le canzoni, i film per me fondamentalissimi.

Prediamo i film, ad esempio.

A ripensarci il primo film che ha lasciato in me una emozione profonda e che ancora mi suscita le stesse sensazioni ogni volta che lo vedo è Qualcuno volò sul nido del cuculo.

Non starò qua a fare il critico cinematografico, non ne sono capace. Ma le scene in cui Bromden rivela a McMurphy la sua normalità (“Li hai fregati tutti”), e poi Bromden che scappa via dopo aver liberato McMurphy sono, per me, poesia pura. C’è tutto, nel film: la ribellione contro il potere costituito, contro le ingiustizie, la paura del mondo, la forza del desiderio della libertà. Credo avessi quindici anni o giù di lì quando l’ho visto per la prima volta, da persona consapevole che si affaccia alla vita, e sono quelle cose che ti porti dentro, che entrano a far parte di te anche se non lo sai, ma stanno là, e quando meno te lo aspetti escono fuori e tu non puoi fare altro che prenderti quello che viene.

Prendiamo la musica, poi.

La musica fa parte della nostra vita, della mia vita (ne ho parlato qualche tempo fa qui), ascoltare musica è come respirare, credo per molti di noi. Ovvio che da bambini, da preadolescenti, qualcosa ti arriva. Inizi a condividere con i compagni delle elementari, o delle medie, qualcosa che senti in giro, per radio (sempre accesa a casa nostra), o che so, a Sanremo, e poi a DeeJay Television. A 12 anni avevo una passione smodata per Vasco Rossi e Billy Idol, dopo aver già assaggiato The Knack, I Police, i Man at Work, i Dire Straits. Avevo iniziato a far entrare Bruce Springsteen dentro la mia vita (e avrebbe scavato molto, tanto a fondo, ma questa è un’altra storia) Ma quello che mi ha fulminato in quella fantastica estate del 1985 e che ha segnato l’evoluzione dei miei gusti in fatto di musica è stato questo.

Dopo aver ascoltato l’assolo di Jimmy Page, e la batteria di John Bonham, nulla è stato come prima.

Sui libri magari ci torno.

Intanto ecco qui, magari la voglia di scrivere è tornata, magari no. Forse è solo la necessità di prendersi un po’ di tempo per sé.