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Renziani con la faccia come il Renzo

Mi ricordo, si mi ricordo del 2009, 2010, e anche dopo quando si facevano le battaglie per un PD diverso.

Mi ricordo, si mi ricordo quando erano battaglie contro i congressi farlocchi, i tesseramenti gonfiati, le truppe cammellate, per il rispetto dello statuto, per la meritocrazia e contro le filiere e i capibastone.

Mi ricordo, si mi ricordo, l’essere minoranza ed essere visti come i marziani, gli idealisti, lasciate la politica a chi sa come si fa, le prese per il culo, le commissioni di garanzia che tutto erano meno che di garanzia.

Poi succede che acqua ne scorre sotto i ponti, e la coscienza di molti impone di cercare altre strade perché altrimenti dovresti solo riempire di sputi lo specchio nel quale ti guardi la mattina appena alzato.

E però invece la coscienza di molti non è così schizzinosa, e allora capita che la minoranza di un tempo diventi maggioranza di adesso e allora vanno bene i congressi farlocchi, le discussioni inesistenti, le filiere, le truppe cammellate, i capibastone, le tessere gonfiate. L’importante è aver sostituito il 60% della ditta con il 60% loro. Che il resto si fottesse.

Mi viene in mente Ciro di Gomorra, quando dice alla moglie disperata, che si accorge di non avere alcun futuro da offrire alla propria figlia: “Amm’ vinciut’. SImm’ ‘e chiù fort’.”

Si, avete vinto sopra le macerie, dopo aver contribuito a distuggere una comunità politica, una storia, un’idea. Quella che voi chiamavate ditta ha le sue colpe, ma voi vi siete mostrati infinitamente peggiori di loro, perché vi presentavate come il cambiamento e invece avete rigenerato gli stessi metodi, le stesse storture, le stesse aberrazioni che dicevate di voler combattere. Non avrete mai il mio personale perdono politico, per quello che vale. Mai.

Minniti:Orlando=Bossi:Fini

12/12/2016 Roma, Quirnale, giuramento del governo Gentiloni, nella foto Andrea Orlando e Marco Minniti

Una proporzione matematica che diventa equivalenza politica e sociale, nei suoi effetti.

Mi direte che i medi, gli estremi, non sono fatti della stessa pasta. Ripeto: gli effetti sono i medesimi. Criminalizzare la povertà è semplicemente aberrante. Come a suo tempo era (e resta) aberrante criminalizzare l’immigrazione. Possono bastare le parole di Roberto Viviani, del Baobab.

Poi mi sfugge, sarà un mio limite certo, come l’argomento non sia oggetto di rimostranze da parte dei sostenitori della candidatura di Andrea Orlando alla segreteria del PD, soprattutto quelli-che-vorrebbero-un-PD-più-a-sinistra-e-quindi-sosteniamo-Orlando-contro-Renzi-così-sarà-salva-l’unità-del-PD-e-finalmente-diverremo-un-partito-di-sinistra.

Come ha detto Pippo Civati ieri sera, destra è chi destra fa. Fatevene una ragione.

Chiediamoci il perchè

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Oggi tutti a sbeffeggiare M5S per quanto successo in nell’Europarlamento e a cimentarsi in dotte disquisizioni sull’incoerenza delle sue scelte. Ieri a sbeffeggiare M5S per il nuovo approccio rispetto agli inquisiti e a cimentarsi in dotte disquisizioni sull’incoerenza delle sue scelte. L’altro ieri qualcosa per sbeffeggiare e sul quale cimentarsi in dotte disquisizioni sull’incoerenza delle sue scelte ci sarà pur stato.

Trump durante la campagna elettorale fece scandalo quando disse che sarebbe potuto scendere in strada e puntare la pistola contro qualcuno e la cosa non avrebbe spostato di un millimetro le sue possibilità di vittoria. Con M5S è la stessa cosa, temo. Tanto è al colmo la sopportazione di molti elettori nei confronti dello status quo. Tanta è la mancanza di fiducia nelle capacità di risolvere i problemi del Paese espresse della stragrande maggioranza della classe politica, tanta la disaffezione verso le forme di partecipazione democratica “classiche” rappresentate dai partiti politici.

Non servirà lo sberleffo, la risata, la sottolineatura dell’incoerenza se non verremo prima a capo delle nostre mancanze di questi anni che hanno generato a loro volta sberleffo, risate, incoerenza e soprattutto emorragia di consensi.

Chi vota M5S se ne frega delle incoerenze, di Farage, di Ukip, di Alde, di Verhodstadt, dell’Europrlamento, dell’avviso di garanzia, delle diatribe interne, del tribunale del popolo per i giornalisti. Sono cose che non spostano di un millimetro le possibilità di successo del movimento. E soprattutto non spostano consensi verso la sinistra, che anziché sbertucciare l’avversario dovrebbe interrogarsi sui perché.

Forse l’unico fattore che potrebbe mettere in crisi il movimento è il fattore V, come Virginia. E lo sa lo stesso Grillo. Ma questa è un’altra storia che vedremo come sarà scritta.

Chi l’ha detto?

«Perché vedete, e vorrei sottolinearlo, sarebbe del tutto infondato il sostenere o il lasciar intendere che nel passato il Parlamento sia rimasto chiuso in un atteggiamento di pura conservazione, di statica e retorica difesa della Costituzione del 1948».

«Il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente a un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici.

La rottura che c’è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l’approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della Parte II della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua, in prospettiva, la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale; un cammino che bisognerà pur riprendere, nelle forme che risulteranno possibili e più efficaci, una volta che si sia con il referendum sgombrato il campo dalla legge che ha provocato un così radicale conflitto».

Potete scoprirlo qui.

Ignazio Marino persona per bene

Sulla vicenda Marino all’epoca M5S hanno fatto gli sciacalli, roba che se tanto mi da tanto Paola Muraro starebbe a casa da un pezzo (anzi, nemmeno avrebbero dovuto nominarla assessore). Il PD, invece, ha mostrato tutta la pochezza dei suoi dirigenti cittadini (quanto sangue amaro quei pochi militanti che hanno sempre lottato per un partito diverso!) e la spregiudicatezza di Renzi. Che ha ordinato ai consiglieri di recarsi dal notaio (pena la mancata ricandidatura) e defenestrare Marino per un bieco calcolo: provare a far vincere M5S nella speranza che dimostrassero la loro incapacità a governare per poi giocarsi i loro (eventuali) fallimenti sulla scena nazionale (nella peggiore delle ipotesi avrebbe vinto Giachetti). Mi sa che si è fatto male i calcoli. Il tutto sulla pelle di Roma e dei Romani. Che statista, veh?

La bellezza violentata di Bagheria (e non solo)

Trascorro buona parte delle mie ferie in Sicilia, principalmente a Bagheria ma non solo, dal 2011. Ho la fortuna di avere la moglie che ha qui tutta la sua famiglia, persone generose, amorevoli e cordiali come ne ho incontrate molte, qui e in tutto il sud Italia.

Parlo di sud, e di Sicilia, e di Bagheria, perché sembra quasi che più la natura abbia concesso a queste terre bellezze sconfinate, più questa stessa bellezza sia destinata a combattere tra brutture, miserie, indifferenza.
Dal 2011 ho visto all’opera a Bagheria amministrazioni di centrodestra, centrosinistra e del M5S. Ma la sensazione di tristezza che mi pervade quando percorro le sue strade è la medesima da sei anni a questa parte. In un Comune complesso come Bagheria posso immaginare che i problemi siano innumerevoli, al pari di tanti comuni, del sud, del centro e del nord: disuguaglianze crescenti, mancanza di fondi per il sociale e per i servizi essenziali, scuole e strutture pubbliche fatiscenti, manutenzione ordinaria degli spazi comuni al limite dell’impossibile. Quindi la mancanza di pulizia nelle strade e la carenza nella raccolta dei rifiuti sono disservizi che si sommano ad altri disservizi che probabilmente hanno un impatto ancora più negativo sulla comunità bagherese. Però proprio perché la sporcizia finisci per avercela sempre sotto gli occhi, e costituisce quel manto che ricopre tutta la bellezza che ha baciato queste terre, allora ti chiedi come è possibile che non si riesca nemmeno a spazzare le strade.

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Conosco la storia del Coinres, degli affidamenti diretti del servizio di raccolta dei rifiuti appellandosi al 152 e non è mia intenzione esprimere giudizi sulla bontà o meno dei provvedimenti dell’amministrazione comunale. Tra qualche giorno inizierà la raccolta porta a porta e questo è sicuramente un bel segnale. Voglio sperare che si lavorerà di pari passo tanto per raccogliere i rifiuti prodotti nelle case dei cittadini quanto per dare alle strade della città quel decoro che Bagheria merita. Mi si dirà che le persone sono “vastase”. Certo, vastasi ce ne sono, ma probabilmente c’è, in via prioritaria, l’esigenza di far riappropriare le persone, vastase o meno, dell’idea della bellezza. Perché qua sembra che al brutto si siano abituati tutti, ma proprio tutti. È normale zigzagare tra la sporcizia, come lo è vedere persone che guidano senza casco, come lo è costruire abusivamente su coste meravigliose o in campagne feconde di frutti, come lo è l’indifferenza nei confronti della mafia e delle sue attività imprenditoriali.
Bellezza e legalità, le due parole d’ordine per creare una nuova coscienza collettiva. Sono percorsi lunghi e tortuosi, che si compiono in lustri, in decenni. Ma i semi prima o poi vanno gettati.
Spero vivamente di poter constatare con i miei occhi, tornando qui negli anni prossimi, un cambiamento reale.

Questa terra, e con le tutte le persone per bene che la abitano, se lo merita.

p.s. Le foto ritraggono due strade a caso che percorro a piedi per andare in edicola la mattina. Ne avrei potute aggiungere molte altre, ma va bene così, purtroppo.

La conservazione dell’attuale modello di sviluppo (senza ricorrere a Freud)

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L’arrampicata sui vetri, con tanto di rumore di unghie che ti fanno drizzare i peli sulle braccia, appare come lo sport più praticato in certi ambienti turbo-renzian-democratici.

Prendete il referendum sulle trivelle. Loro stanno lì con il ditino alzato, e ti ricordano che non si tratta di fermare nuove trivellazioni (il fantasmagorico governo del fare ne ha già bloccate di nuove, oltre le 12 miglia!!!), ma semplicemente di non rinnovare la concessioni alla loro naturale scadenza per le prospezioni entro le 12 miglia. E ti ricordano che che le risorse che un domani non estrarremo dai nostri mari dovremo comunque acquistarle, e quindi la situazione globale dal punto di vista dell’impatto ambientale non cambia, anzi peggiorerà. La cosa più stupefacente è che lamentano la politicizzazione del referendum, cosa che abbaglierebbe le masse distogliendole dal merito del quesito. Ora, che i più strenui difensori del premier che più nella storia sta politicizzando un quesito referendario (quello sulla riforma Costituzionale), per legare il suo destino ad un passaggio democratico che allontana i riflettori dal merito della riforma, vengano a formulare una tale osservazione, beh, è davvero tragicomico. Ma si sa. I turborenziani perdono qualsiasi freno inibitore, quando si tratta di difendere le scelte del loro capo.

Lamentano, udite udite, la possibile nascita di una grande coalizione sociale che si batta per le fonti di energia rinnovabili. Come sei i referendum, storicamente, non abbiano contribuito a creare una coscienza collettiva, un dibattito nel Paese che ha consentito di mutare i paradigmi sui quali si fondava la società fino al loro svolgimento, tipo i quesiti su aborto e divorzio.

E quindi? Ben venga che i referendum NO-Triv, al di là del merito del quesito, contribuiscano a definire verso quale modello di sviluppo vogliono tendere, con le loro scelte, i cittadini. E non mi sembra nemmeno una questione troppo tecnica, dopotutto. Il senso del referendum è rinnovabili si, rinnovabili no. Come fu per il referendum sull’acqua pubblica. Si o no. Che poi decidiate anche voi di fregarvene del voto degli italiani, beh, non mi stupisce.

Infine, si dice che il SI al referendum comporterebbe l’acquisto di risorse energetiche non estratte dai giacimenti italiani d altre parti, per 5 miliardi di Euro. Ecco, forse sarebbe il caso investire davvero in fonti rinnovabili per evitare di dover ricorrere ancora a petrolio o gas per soddisfare i nostri bisogni energetici. Tipo iniziando ad installare il fotovoltaico sugli edifici pubblici cercando di non consumare suolo agricolo per l’installazione di nuovi impianti.

Troppo difficile per chi ha seppellito, con il PD, anche qualsiasi riferimento alla difesa dell’ambiente. Prendetene atto, risparmiatevi le sedute dallo psicanalista. Siete diventato questo: una forza conservatrice.

Sanders, Clinton e la pena di morte

L’essere favorevoli alla pena di morte, per i sostenitori italiani di Hillary Clinton che affollano anche il Partito Democratico, è del tutto irrilevante. La pena di morte continua ad essere un argomento che si preferisce non toccare, da parte degli alleati fedeli. Evidentemente per loro va bene così.

Le scelte epocali che cambiano il mondo richiedono coraggio. Sanders ne ha da vendere.

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Delirio Delrio

Qui le dichiarazione del Ministro sulla privatizzazione del Gruppo FSI.

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Ci spieghi il Ministro quale dovrebbe essere l’interesse dell’investitore privato, o dell’azionariato diffuso, a sostenere economicamente la linea Sulmona-Carpinone, o l’Intercity Night Roma-Torino. Ci porti esempi, il Ministro, di privatizzazioni, anche nel settore ferroviario, che abbiano portato ad un miglioramento del servizio senza salassi per gli utenti. Ci spieghi il Ministro che senso abbia parlare di trasporto merci su ferro se non esiste un piano nazionale dei trasporti, un’idea di sviluppo della portualità. Ci spieghi il Ministro se ritiene essere un problema o meno la sicurezza dei lavoratori nel mondo dei subappalti nelle attività di manutenzione. Le frecce sono il fiore all’occhiello del gruppo FSI, e sicuramente rappresentano la parte più appetibile nel caso di privatizzazione. Ma cosa fare del trasporto regionale? Cosa dei treni a lunga percorrenza? Chi si accollerà la bad-company? Non esiste altra soluzione che lasciare in mano pubblica quei servizi che per definizione devono essere garantiti a tutti. Aumentando i trasferimenti alle regioni affinché possano stipulare contratti di servizio che assicurino una migliore qualità dell’offerta. Non è con lo spezzatino del gruppo FSI che si risolvono i problemi della mobilità del Paese.

 

Il cane morde sempre in culo allo stracciato

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Si scopre (?) in questi giorni la grande truffa sull’olio. E poi c’è quella sul vino, sulle mozzarelle, sul tonno, sul formaggio, sulla carne, sulla maggior parte dei cibi che mangiamo. Nessuno sano di mente può pensare che un litro di olio extravergine di provenienza italiana possa costare 4 € al litro, o vino decente 1,5 € al litro. Però poi questi prodotti sugli scaffali ci stanno, e al di là di quello che si trova scritto sulle etichette, in maniera più o meno comprensibile, della tracciabilità e di tutto il resto, i consumatori comprano. Con la crescita delle disuguaglianze socio-economiche nel Paese non si fa fatica a capire chi, nella maggior parte dei casi, sia diventato il maggior consumatore di prodotti a basso costo (e bassissima qualità). In sostanza chi sta bene economicamente mangia meglio di chi ha difficoltà. E quindi oltre al danno di vedere eroso il proprio potere di spesa, la beffa di essere costretto a nutrirsi di prodotti scadenti. Non siamo al junk-food ma poco ci manca.

Come potremmo chiamarlo, food-divide?