Il mio amico Gianclaudio, con il quale condivido tante delusioni ma anche tante speranze. Io non parto come lui, ahimè. Ma è come se fossi in quella valigia. E in quel circolo magico di via Bellezza, dove tutto è partito.
Stanotte si parte. Per Milano, Circolo Arci Bellezza. Qualcosa di nuovo.
Partirò in treno. Con la valigia di cartone carica di speranza.
Sento di volermi occupare di politica sin da bambino, ma oggi sento anche di essere ad un punto di svolta definitiva.
Devo decidere se occuparmene a pieno o mollarla. A volte sento di non essere fatto per questa politica. Troppi interessi, troppe strategie. Troppi discorsi che faccio fatica ad accettare.
Nella mia testa la politica è una cosa semplice. Si fa semplicemente l’interesse di tutti o quantomeno della maggioranza delle persone. Ecco, in politica scarseggia questo termine “persone”. Si parla di elettori, cittadini, soci, compagni, amici.
Per me al centro ci sono le persone. I loro bisogni, i loro desideri, le loro paure, i loro limiti.
Ho capito, grazie al dolore, che io stesso sono una persona. E come tale devo rispettarmi.
Ho capito che farò politica solo se potrò essere una persona tra le persone. Solo se potrò essere umano in mezzo ad umani. O quantomeno se potrò contribuire a rendere la politica qualcosa che sia vicina alle persone e alla mia sensibilità.
Altrimenti farò altro. C’è così tanto da fare. Senza delegare, ma senza nemmeno la presunzione di doverci essere a tutti i costi.
Il viaggio di domani potrebbe essere l’ultimo fatto per questioni politiche. Oppure l’ennesimo.
Non sono incline ai facili entusiasmi, non mi rassegno a cedere al pessimismo. Credo che le cose accadano nel momento in cui devono accadere.
Sento che questo paese ha bisogno di esempi, di riferimenti chiari, di parole forti, ma condivisibili. Di modelli di comportamento, di fari che illuminino il cammino. Non di diktat, non di personalismi, non di cattivi maestri.
Credo che questo paese abbia bisogno di un sussulto collettivo, non della scossa imposta da un solo individuo.
Credo che questo paese abbia bisogno di persone che sappiano rispettare di più se stesse e quindi gli altri. Credo che l’Italia sia di fronte ad una grande prova di maturità. Ciascuno di noi lo sia.
Quando ero bambino e pensavo che avrei fatto politica perché mi affascinava, oggi sento di dover fare i conti soprattutto con me stesso, con la mia coscienza, poi con il resto. E quindi niente sarà a tutti i costi. Non sono disposto a pagare nessun costo.
Il fine non giustifica il mezzo, ma il fine è il mezzo. Così per combattere la corruzione devo essere incorruttibile. Per combattere l’evasione fiscale devo pagare le tasse. Per ottenere un mondo migliore non devo usare l’auto per ogni capriccio.
Qualche anno fa dissi a mia madre che quando avrei fatto politica avrei voluto che lei fosse la mia coscienza, capace cioè di avvisarmi quando cominciavo a cacare fuori dal vaso. Ho chiesto qualcosa di simile, negli anni, a qualche amico fidato. Ma ho capito che non basta. Che il lavoro più grande devo farlo io.
Non posso combattere chi faceva politica mentre ero bambino e vendeva belle speranze e che oggi continua a farlo, con molti capelli in meno, il giovanilismo sbiadito da 20 anni di chiacchiere al vento e incoerenza. Posso solo cambiare me stesso.
E’ un lavoro duro, ma efficace. E mi consente di sentirmi una persona. Solo se mi sentirò persona in mezzo ad altre persone come me farò politica. Altrimenti continuerò a pagare le tasse, rifiutare la corruzione, accettare quello che mi è scomodo ma fa bene al prossimo, non parcheggiare in doppia fila, non buttare le carte per terra…