Sarà un complotto dei soliti noti, sarà l’economia che, in assenza di regole socialmente sostenibili, si regola da sé e quindi volge naturalmente verso l’aumento costante del divario tra ricchi e poveri, una sorta di entropia delle disuguaglianze, ma sta di fatto che la guerra tra poveri alla quale assistiamo ormai da anni coinvolge tutto e tutti e sembra non aver fine. Che poi sentirsi minacciati da chi sta peggio di te è un attimo, e allora dagli all’immigrato, al bracciante, all’ambulante, al baraccato, al Rom, all’accattone, al musicista di strada, al clochard, al lavavetri, alla prostituta, al bangladino, al rifugiato. La cui condizione di povertà è alimentata da chi non se la passa benissimo.
Uno spaccato della situazione lo offre questo articolo di Internazionale.
Generalmente al discount è più facile incontrare persone che hanno capacità di spesa inferiore alla media, in cerca di offerte e di prezzi vantaggiosi. A scapito di chi? Dei produttori, che pur di prendere commesse dalla grande distribuzione lavorano in perdita. E su chi si rifanno i produttori? Sugli utenti, con un prodotto di peggiore qualità, e su chi raccoglie e lavora il prodotto, vittima di dumping salariale senza fine. Il povero che fotte il povero.
Altro esempio nell’abbigliamento. I negozi più affollati sono ormai da tempo H&M, Bershka, Pull&Bear, Zara. Compri a poco roba già di suo abbastanza scadente, e come per il cibo se una maglietta costa 10€ qualcuno l’avrà prodotta con paghe da fame, visto che il margine per le aziende c’è sempre. E poi c’è la distribuzione, il trasporto. Tutti strozzati.
Tutti poveri che si fottono tra di loro.