Dal 2008 ad oggi, mentre il Paese attraversava la piú grande catastrofe economica e politica degli ultimi vent’anni, una lotta intestina fra gli stessi dirigenti che nei precedenti due decenni avevano scritto pagine gloriose della nostra storia politica e amministrativa, ha impedito al PD Lazio di avere un segretario in grado di governarlo.
Possibile? Industria, commercio e turismo, attività finanziarie immobiliari e servizi, producono nel Lazio circa il 20% del corrispondente segmento di PIL nazionale con circa il 10% della popolazione nazionale. Il Lazio ospita un grande stabilimento Fiat, le grandi istituzioni di ricerca italiane, la Capitale e tutto quel che consegue in termini di opportunità ma anche pendolarismo inquinamento: è nel Lazio la piú grande discarica di rifiuti in Europa. Negli ultimi anni, poi, calo dell’occupazione, criminalità organizzata, clientelismo inquinamento rischiano di far risucchiare nel buco nero del sottosviluppo una Regione che potrebbe aprire al meridione la pista della crescita. Poteva permettersi il Lazio di restare per anni ostaggio di un governo incapace, con il principale partito di opposizione a bagnomaria?
Certo le politiche del PD per il lavoro, la casa, l’ambiente, la ricerca, i trasporti, hanno trovato negli amministratori locali e nei Consiglieri Regionali un importante riferimento. Esse rischiano però di risultare lontane, a volte incomprensibili per elettori e iscritti, in assenza di un partito capace di suscitare ampia partecipazione democratica, al di là dei pur preziosi bacini elettorali personali (nel 2010 il 46% degli elettori PD non ha espresso preferenze e un altro 20% ha dato la preferenza a candidati non eletti).
Eppure fino a tre settimane fa, a due anni dal rovinoso abbandono del governo regionale, il PD non era ancora riuscito a darsi un gruppo dirigente: né primarie, né voti assembleari, né un anno di commissariamento avevano sciolto la matassa dei veti incrociati, malgrado la spirale di sconfitte elettorali ed emorragie verso altri partiti. La fisiologia della competizione politica interna era diventata patologia, con interessanti capriole: chi in Italia voleva il partito solido, nel Lazio lavorava alacremente alla sua liquefazione; chi voleva primarie sempre, nel Lazio prediligeva i caminetti; molti si comportavano come se preferissero la certezza di pesanti sconfitte elettorali del PD al rischio di perdere il controllo del partito nella propria città o provincia, o magari di non essere candidati (o ricandidati) alle prossime elezioni politiche.
Nell’ultimo anno, infatti, la presunta imminenza di elezioni anticipate, anziché indurre un rapido recupero di compattezza, autonomia territoriale e competitività elettorale attraverso primarie che la direzione del PD aveva affidato al commissario Chiti, ha purtroppo agito da ulteriore forza centrifuga: pochi lo ammetterebbero in pubblico, ma molti sono privatamente ossessionati dal problema di chi sarà Segretario Regionale al momento della composizione delle liste di Camera e Senato, con una legge elettorale che dà tutto il potere alle segreterie.
In queste circostanze risultano coraggiose e legate fra loro piú di quanto non appaia a prima vista tre importanti decisioni prese dal commissario Vannino Chiti negli ultimi cinque mesi: (1) creare un coordinamento politico che ha sottratto al ping-pong fra opaci caminetti e boatos della stampa la discussione del percorso per eleggere il segretario regionale; (2) creare una commissione presieduta da Tocci e incaricata di studiare le modalità con cui gli elettori saranno coinvolti nella definizione delle liste di Camera e Senato alle prossime elezioni politiche (un tema all’ordine del giorno della prossima Conferenza Nazionale Organizzativa del PD); (3) constatare che, malgrado l’auspicio di Bersani, era impossibile eleggere in assemblea un candidato di larga convergenza, e indire cosí per il prossimo 12 febbraio 2012 l’elezione del segretario e della nuova Assemblea Regionale attraverso elezioni primarie cui partecipano tutti gli elettori del PD, secondo lo Statuto Regionale vigente e il mandato ricevuto nel settembre 2010 dalla Direzione Nazionale.
Con simili premesse, un mese fa e poi due settimane fa, sulle colonne di Europa, ho auspicato, e qui ribadisco, che il prossimo Segretario Regionale deve superare le divisioni e rilanciare il PD nel rispetto dello Statuto e del Codice Etico, partendo da questi 7 impegni:
- promuovere nel partito regionale e nazionale la cessione di una porzione di sovranità dalle segreterie agli elettori nella definizione delle liste di Camera e Senato, con elezioni primarie, da promuovere anche in tutte le elezioni monocratiche, a norma di statuto
- rinunciare ad essere in lista e, se già parlamentare o consigliere, dimettersi da ogni altro ruolo elettivo in caso di elezione a segretario (ricevendo a questo punto dal partito un contratto a tempo determinato): per metter mano con libertà e credibilità a primarie e candidature, ma soprattutto per dedicarsi a tempo pieno al rilancio e alla ricostruzione del partito in tutta la Regione
- replicare quanto sperimentato da Bersani nel partito nazionale: una segreteria di persone fra i venticinque e i quarant’anni, non parlamentari o consiglieri regionali, aiutati da una cerchia di forum tematici a definire la politica del PD in Regione; ciò dovrebbe innescare, a cascata, altrettanti forum in ciascuna delle Province: più larghi possibile, centri-studio capaci di coinvolgere le competenze, aperti a esperti e militanti, iscritti ed elettori
- girare le province per conoscere e vedere con i propri occhi, valorizzare i circoli sani, curare i malati, ricucire i divorziati, identificare e commissariare i circoli morti, quelli pieni di tessere e vuoti di militanti, e rimetterli in vita, promuovendo nuovi dirigenti capaci di attirare nuovi militanti, di aprirsi ai cittadini, di vincere le elezioni
- voltare pagina rispetto a spartizioni e etichette che non ci hanno portato fortuna: non certo per fagocitare e annullare la diversità e il pluralismo, bensí per valorizzarli, anche con un censimento di competenze capace di coinvolgere nel governo del partito, a tutti i livelli, nuovi e vecchi militanti che hanno qualcosa da dire e un contributo da dare
- garantire trasparenza nei bilanci, parità di genere, riunioni che per orario e ordine del giorno non siano precluse a chi fa un lavoro normale, doveri e diritti di iscritti ed eletti, periodica consultazione dei livelli territoriali inferiori; insomma rispettare le regole che noi stessi, donne e uomini democratici, ci siamo dati quando il PD è nato
- voltare pagina nel metodo e nel merito delle nomine nelle aziende partecipate, abbattendo cosí i costi principali ma occulti della politica: in Italia ci sono 3600 aziende partecipate, 23mila consiglieri d’amministrazione, 3mila incarichi apicali, e il 60% di queste aziende risultano in deficit (Cuperlo, l’Unità 8/8/2011); un decimo di queste aziende è nel Lazio.
Nel sottoscrivere questo programma e la mia candidatura a Segretario diversi amici e amiche, compagne e compagni, democratici e democratiche, hanno suggerito che il mio programma per il PD Lazio non si occupi solo della vita interna del partito, ma anche della Regione Lazio. Per esempio delle ricadute politiche e legislative nel trasferire competenze con la legge su Roma Capitale o delle prospettive dell’area metropolitana in caso di abolizione delle Province. Oppure del rapporto tra pubblico e privato, in particolare nel campo della sanità, in vista dell’elaborazione del programma del partito per le prossime elezioni amministrative regionali, inclusa una posizione chiara per la piena applicazione della legge sui consultori. Come, però, inserire nel programma (lo chiede uno dei firmatari) un think-tank di documentazione sull’infiltrazione mafiosa basato sulla capillare rete di vigilanza democratica costituita dai nostri circoli, se alcuni dei nostri circoli hanno centinaia di iscritti ma nessun militante? Dove e come sta la rete capillare, se il 9 novembre scorso, quando ho cominciato la mia campagna, il tesseramento 2011 non era neppure cominciato in 17 circoli PD della provincia di Frosinone, 10 della provincia di Latina, 5 della provincia di Roma, 4 della città di Roma, uno della provincia di Rieti e 10 della provincia di Viterbo? Oppure: come parlare dei diritti di tutti, di opzione preferenziale per i piú deboli, di beni comuni, se il partito stesso non è piú un bene comune, se chi non ha truppe cammellate e clientele e parla di diritti degli scritti, doveri degli eletti o rimozione di conflitti di interesse e di incarichi multipli non riceve nel merito risposta pubblica da nessun altro candidato o dirigente, salvo essere da qualcuno bollato come candidato bandierina, brillante ma implausibile? Non è facile neppure dichiarare l’impegno (suggerito da un’altra mia firmataria) per una segnaletica stradale meno irrazionale e inefficace in tutto il Lazio, magari basata su esempi europei e su internet, se la prima segnaletica irrazionale e inefficace è quella che troviamo nei siti web del nostro partito, dove il materiale obsoleto non è rimosso e quello attuale spesso introvabile.
Se la vita interna del nostro partito non rispecchierà il Lazio che vogliamo, o almeno non smetterà di fare a pugni con esso, nessuna delle nostre parole sul futuro del Lazio sarà credibile e continueremo a perdere un’elezione dopo l’altra.
Questo è però vero anche sul versante positivo. Se oggi a Roma possiamo credibilmente parlare di lotta al riscaldamento globale con l’aumento della biomassa, di difesa dai rifiuti con il compostaggio dell’umido, di salvezza dalla solitudine e dalla fame attraverso una rete regionale di orti sociali (come mi chiede un altro firmatario), è perché dirigenti come Marco Miccoli e Estella Marino hanno scelto la scorsa estate, a costo di fatiche sovrumane, di innovare la gestione dell’immenso flusso di rifiuti generato dalla festa dell’Unità imponendo materiale compostabile a tutti i ristoranti, con uno straordinario 60% giornaliero di raccolta differenziata rispetto al totale rifiuti, anticipando l’obiettivo previsto dalla legge per fine 2011.
La prima richiesta è quindi per un partito che funzioni. La seconda è che sia degno dell’aggettivo democratico: che funzioni in modo partecipato. Secondo un altro dei miei firmatari, che immagino proveniente da un circolo particolarmente sfortunato, di tutti gli istituti partecipativi dello Statuto non ce ne è uno in funzione. La partecipazione non è un vezzo ma una necessità: non solo elettorale, affinché i cittadini percepiscano il PD come utile e rappresentativo, ma politica, perché le decisioni amministrative e legislative discusse e preparate in piú persone siano della massima qualità possibile per la vita di tutti. Il metodo democratico di cui parla l’articolo 49 della nostra cara, vecchia, buona Costituzione non è un costoso principio che inceppa le decisioni: è, invece, l’unica base per decisioni buone e efficaci.
Per un partito che funzioni non serve un capo, ci vuole un segretario capace di far ricrescere un collettivo, una comunità di persone, un tessuto connettivo capace di riconnettere le tante energie dei circoli attivi che pure esistono, dei rappresentanti nelle istituzioni che pure fanno bene il proprio lavoro, ma per ora vanno ognuno per conto proprio perdendo tutte le possibili sinergie con gli altri. Occorre per esempio valorizzare e integrare i cinquemila Giovani Democratici del Lazio che con il loro attivismo nel 2010 hanno contribuito in modo determinante a un risultato inimmaginabile nel 2008: la maggioranza relativa a liste progressiste nel rinnovo del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, l’elezione di una ragazza democratica come presidente delle Consulta Provinciale Studentesca di Roma e il concomitante crollo del 30% di Blocco Studentesco. Creare rapporti organici e sinergie fra questi filoni tematici e la conferenza delle donne PD. Riconoscere, valorizzare e integrare i tanti dirigenti e amministratori del PD che per anni si sono occupati efficacemente di scuola, ricerca, università, lavoro, trasporti, sanità, ambiente, facendo una preziosa opera di supplenza, in assenza di una segreteria e quindi di dirigenti regionali del PD preposti aciascuno di questi temi.
No, le energie buone non mancano. Devono solo essere messe di nuovo in rete anziché essere messe una contro l’altra o fungere da missile su cui qualcuno si mette a cavallo sperando di atterrare in Parlamento, al comune, in un’azienda partecipata.
Le energie buone non mancano: girando per il Lazio come parlamentare l’ho toccato con mano. il PD Lazio non è, come qualcuno crede e qualcun altro spera, un malato incurabile: è invece un bene comune di tutti e di ciascuno, che come l’acqua può con opportuni interventi ridiventare limpido e abbondante, con vantaggio di tutti. Se la buona politica di cui il PD ha bisogno saprà superare etichette e correnti sempre piú equivoche e obsolete, ci accorgeremo, come è capitato ai firmatari della mia candidatura –dal circolo Aurelio-Cavalleggeri al IX Municipio, fino a Latina e Rieti– che alcune divisioni erano state create ad arte da irresponsabili fautori del motto “divide et impera”; che quel che ci unisce è molto piú di quel che ci divide; che la buona politica non divide le persone per legarle per sempre al proprio carro, ma promuove il loro incontro affinché possano agire in modo sempre piú libero, responsabile, indipendente.
Ci accorgeremo che il PD Lazio può rinascere e federare tutti i progressisti del Lazio, come aveva fatto vent’anni fa, con una nuova coalizione, un nuovo progetto, una nuova generazione di giovani dirigenti e amministratori.
Per quest’opera di unità esso, come già scrivevo un mese fa, non ha bisogno di rottamatori e neanche di disinvolti piloti che lo portino a un’altra sconfitta per poi cambiare scuderia: ha bisogno di ingegneri, gommisti e carrozzieri capaci di rimetterlo in pista per vincere la prossima corsa.
Sono pronto e coordinare questa squadra.