Oggi #PatrickZaki compie trent’anni.
Li passa chiuso in una cella di un carcere speciale egiziano, che è molto ma molto ma infinitamente peggio di Rebibbia o di Poggioreale o di qualsiasi carcere possiate immaginare.
Sta là dentro non perché sia un pericoloso criminale, che già sarebbe una condanna durissima, visto che dove sta lui i carcerati muoiono come mosche e sono sistematicamente torturati, ma semplicemente perché ha espresso una opinione di dissenso rispetto al regime criminale che regna nel suo Paese.
Adesso provate ad immaginare vostro figlio chiuso in carcere, senza un processo, torturato solo perché ha espresso un’opinione.
Ci riuscite?
No vero?
E che è, figlio a me ‘sto Patrick?
Fatti suoi, se la sarà cercata.
Come Giulio Regeni, come Stefano Cucchi, come Federico Aldrovandi.
Ecco, a me della storia di Patrick, e degli altri, oltre che la storia in sé colpisce l’indifferenza. L’indifferenza dell’opinione pubblica, che non è la bolla di ‘sti social che già basta e avanza per le schifezze che ci si trovano scritte e dette, e che, anzi, visto che ciascuno alla fine si sceglie gli amici più affini può anche sembrare che dopotutto i social sono molto attenti a certe questioni che ci stanno a cuore. No, è il menefreghismo che senti a pelle quando magari ti trovi a parlare con qualcuno realmente e capisci che di ‘ste cose a chi ti sta di fronte non gliene frega proprio niente, e che possiamo rinunciare ai commerci con l’Egitto per due che se la sono andata a cercare?
E la stessa indifferenza sostanzialmente ce l’hai in chi governa il Paese, perché a chiacchiere sono tutti bravi, ma i fatti, per Patrick, stanno a zero.
Insomma, provateci ogni tanto a camminare nelle scarpe di qualcun altro.