Per descrivere quello che è successo in Francia non ci sono parole. Eppure le stanno cercando in molti, in queste ore. La frase più ricorrente è “siamo tutti Charlie Hebdo”. Qualcuno ci ricorda che non è proprio così. O meglio, è facile dirlo adesso, ma Charlie Hebdo (che, confesso, conoscevo vagamente, e mi cospargo pubblicamente il capo di cenere per questa mia ignoranza) pubblicava, continuerà a pubblicare, vignette, e cose, che molti di quelli che adesso osannano la libertà di satira non avrebbero voluto vedere nemmeno nei loro peggiori incubi.
Ipocrisia a pacchi.
E sempre parlando di ipocrisie, è sempre stupefacente assistere all’indignazione (giustissima) quando i morti sono europei, americani. Quando gli attacchi vengono portati in casa nostra. Ecco, se iniziassimo ad indignarci, a manifestare, a ribellarci anche quando sono uccisi giornalisti, o bambini nelle scuole, innocenti di qualsiasi razza, credo politico e religione lontano dalle nostre sicurezze, forse saremmo un passo, un piccolo passo più vicini alla soluzione del problema. Usciamo dalla sindrome della nazionalità dei deceduti nell’aereo precipitato. Fortunatamente non c’erano italiani a bordo raccontatelo a qualcun altro.