E così arriviamo al governo Renzi I. Tralascio le modalità con le quali siamo arrivati a tutto questo. Resto solo, come dire, stupito di fronte al fideismo di cui soffrono i fan del neo-premier. Roba che se altri avessero detto o fatto la metà di quello che ha detto o fatto Renzi in queste settimane e fino a pochissimi giorni fa, avrebbero lamentato anch’essi la mancanza di democrazia, il mancato mantenimento della parola data, il mancato ricorso all’opinione di iscritti ed elettori. Sono le regole a leader variabile, diciamo così. Ma tant’è.
Faccio una previsione: secondo me Renzi dura davvero fino al 2018. Primo perché pochissimi, innanzitutto nel PD, hanno desiderio di andare alle urne. Soprattutto tra i cuperliani, ma non solo. Sanno che questo, per la maggior parte di loro, è l’ultimo giro di giostra, presumibilmente, e vorranno sopravvivere il più possibile. Nella speranza di ingraziarsi, nel tempo, il nuovo leader e resistere anche per il prossimo giro.
E poi perché credo che Renzi troverà il modo di tenere insieme la sua maggioranza che, ricordiamo, sarà la medesima sulla quale si reggeva il governo Letta, magari con l’aggiunta di pezzi di Forza Italia (Renzi e Berlusconi hanno trovato un accordo su legge elettorale e riforme, per quale motivo non proseguire?). Quale sarà il collante? Il programma, ovviamente. Quale programma? E qui sta il punto.
Le parole di Pippo Civati, temo, resteranno inascoltate.
Sono giorni che riecheggia nella mia testa quanto detto da Piero Fassino in direzione nazionale, la settimana scorsa.
“Dobbiamo imporre elementi di rottura politica e programmatica molto forti (applauso) che sono necessari per rispondere ad un mutamento radicale di assetto e di configurazione della società italiana”.
“Occorre che corrediamo questa scelta con un programma molto coraggioso e molto innovativo avendo consapevolezza in questa sala che dovremo fare delle scelte che non sono necessariamente in una irenica (!) continuità programmatica con quello che il nostro partito ha sostenuto negli ultimi dieci o quindici anni (pausa teatrale)”.
Quindi a partire dalle prossime settimane avrà inizio quel mutamento politico-antropolgico del PD di cui tempo fa parlava Eugenio Scalfari, e nell’epoca in cui destra e sinistra non esistono più (ipse dixit) per come ce le ricordavamo una volta (e per come le conosciamo adesso) ciò vuol dire che ci saranno soluzioni di un certo tipo a problemi di un certo tipo. L’anticipazione l’abbiamo avuta con la vicenda FIAT un paio d’anni fa.
Civati parla giustamente di diritti, di corruzione, di spese militari, di consumo di suolo, di reddito minimo, di vincoli europei. Io aggiungo, che so, la vicenda Electrolux, piuttosto che la spesa pubblica. E se un governo nasce preferendo ciò che rappresentano Formigoni e Alfano a ciò che rappresenta Civati (in termini politico-programmatici, ça va sans dire), ecco che i motivi per dire no al governo Renzi I fioccano. Epperò proprio la mutazione sarà la garanzia per la vita del nuovo governo, fino al 2018.