Ieri si è tanto parlato di Berlinguer, visto che ricorreva l’anniversario della sua scomparsa.
Molti lo citano a sproposito. E molti (non tutti, ovvio) di quelli che stanno nel partito che idealmente avrebbe dovuto raccogliere l’eredità politica e morale di Berlinguer, ossia il PD, si discostano non poco dal solco che ha tracciato.
In queste settimane sta entrando nella carne viva di ciascuno di noi, che sia ancora iscritto al PD o che non lo sia più, la vicenda di mafia capitale e la deriva che ha preso parte del PD di Roma e del Lazio. Al di là degli episodi di cronaca, e lì ci sarà la magistratura a fare chiarezza, ci sono le valutazioni politiche riguardanti episodi appena più lontani nel tempo (ma allo stesso modo significativi) che dovrebbero valere sempre, anche se sappiamo tutti che le cose sono andate diversamente.
Sono illuminanti queste parole, e ringrazio Michele per la segnalazione dell’articolo da cui sono tratte:
Capita – ma è soltanto un esempio tra i tanti, i troppi che la cronaca racconta – che nel settembre 2012 mentre nel mondo reale si fanno i conti con le conseguenze della crisi, a Palazzo si devono invece fare i conti ancora una volta con alcune opacità relative al finanziamento pubblico della politica. Tra i tanti, tantissimi casi, uno riguarda la Regione Lazio. Il Pdl, che è al governo, viene scosso da uno scandalo che si guadagna le aperture dei giornali nazionali anche a causa di certi personaggi a dir poco grotteschi. Emerge una faida che spacca il partito, anzi lo frantuma. In poche ore la linea di faglia risale sino al vertice nazionale, e la situazione diventa talmente preoccupante che il gruppo dirigente del Pdl corre a riunirsi a Palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi. Il Paese è attonito, rabbioso. Interviene il Capo dello Stato; intervengono i vescovi italiani, addirittura il Papa. Tutti gridano allo scandalo, parlano di vergogna, chiedono moralità. Alla fine, il presidente di centrodestra della Regione è costretto a dimettersi. Tra le tante voci che si sono levate per gridare la propria indignazione, però, una manca all’appello; incredibilmente è quella del Pd.
Sì, perché il capogruppo regionale del partito – che nel Lazio è all’opposizione – invece di azzannare l’avversario si è dovuto trascinare di tv in tv per chiedere penosamente scusa: avremmo dovuto – dice – non prendere anche noi quei soldi. E così si scopre che nel pieno della crisi economica, la maggioranza di centrodestra deliberava misure lacrime e sangue a carico dei cittadini ma poi, senza dare alla cosa troppa pubblicità e d’accordo con l’opposizione, aumentava i fondi a disposizione dei gruppi regionali: un bel regalo per tutti i partiti, un regalo da molti milioni di euro. In silenzio, e senza dover giustificare nulla o quasi. L’unica differenza, alla fine, tra i partiti fu come quei soldi erano stati spesi. Una differenza non di poco conto, peraltro: è quella che passa tra la legalità e l’illegalità. E, però, il punto politico è nella scelta di spartirsi i milioni, in silenzio e nonostante tutto; scelta ancor più scellerata in quanto, allo scoppio dello scandalo, ha tagliato le gambe al Pd impedendogli di cavalcare le notizie.
Ma, soprattutto, il marchio di infamia per la sinistra e il Pd risiede nel venir meno di quella tensione ideale e morale alla quale si riferiva Berlinguer e, dunque, nel tradimento della sua battaglia, un tradimento che è evidente [non tanto in un generico “rubare”, che è cosa che eventualmente, e da che mondo e mondo come testimonia addirittura l’Antico Testamento, ha a che fare con l’essere umano, quanto piuttosto] nel sistematico sedersi, senza più distinguersi e neppure immaginarsi diversi, al tavolo al quale sono seduti coloro che hanno occupato lo Stato [tanto che, a proposito di quella famosa intervista concessa a Eugenio Scalfari, si dovrebbe più correttamente parlare di questione politica, e non di questione morale, giacché è soprattutto questo il problema che pone Berlinguer].
Ecco, non mi stancherò mai di segnalare che buona parte dei protagonisti di quella consiliatura ritennero opportuno fare un passo indietro (tra l’altro sono tutti sotto inchiesta) solo per farne tre in avanti. Tutti promossi sul campo.
E infatti Moscardelli, Lucherini, Scalia, Astorre, Valentini siedono in Senato. Montino in Senato ci ha messo la moglie, e lui è sindaco di Fiumicino. Continuano ad essere potentissimi nei loro territori.
Alla faccia di Berlinguer e dell’opportunità politica (e morale) di fare un passo indietro e restare là dove si era.