Archivi tag: Civati

Analisi post voto (nel senso che tocca andare in analisi)

Lo ricordo bene il 1994, eccome se lo ricordo. Dopo Tangentopoli, i governi lacrime e sangue, le vittorie del centrosinistra a Torino, Napoli, Roma, Trieste, Catania pensavamo davvero che il Paese avrebbe scelto la gioiosa macchina da guerra guidata da Achille Occhetto. E invece arrivò Berlusconi, che riuscì ad intercettare il voto dei moderati, sdoganò i fascisti, ci asfaltò e vinse le elezioni, con tutto quello che ne è conseguito in questi 24 anni.

Quella fu una mazzata tremenda. Lo ricordo eccome. Non ci capacitavamo, a sinistra, di come fosse stato possibile che gli italiani avessero fatto una scelta di quel tipo. Ci mettemmo mesi ad assorbire la mazzata. L’incredulità, il rifiuto della realtà durò a lungo. Ci sentivamo diversi, culturalmente, moralmente e intellettualmente superiori (in parte sbagliando, ovviamente), rispetto a chi aveva fatto una scelta tanto dirompente quanto inaspettata. E il Paese era diviso, letteralmente in due, a sancire questa (presunta?) diversità tra i blocchi di berlusconiani e antiberlusconiani. Nemici da guardare in cagnesco, gli altri. Alieni. Stranieri.

Oggi, all’esito delle elezioni politiche, niente di tutto questo., almeno per me. Il risultato era abbastanza scontato, si trattava solo di stabilire i rapporti di forza entro un quadro sostanzialmente noto. E, a differenza del 1994, non vivo quel medesimo stato di conflitto rispetto a chi ha espresso un voto diverso dal mio. Sia chiaro, sono deluso, smarrito, e, manco a dirlo, continuo a sentirmi profondamente diverso dai fascisti (quelli veri che purtroppo hanno avuto modo di partecipare alle elezioni) dai leghisti-leghisti che sono razzisti e omofobi fino al midollo (e non gli basterà la foglia di fico di un senatore di colore per sovvertire la realtà), dai grillini-grillini che hanno portato il cervello all’ammasso (vedi alle voci vaccini, complotti, scie chimiche), dai fan acritici di Renzi, da quelli che cantano a squarciagola “meno male che Silvio c’èèèèèèè”. Però poi l’analisi dei flussi ha dimostrato come l’elettorato si sia spostato verso i vincitori delle elezioni: sostanzialmente chi in passato ha votato nel centrodestra ha scelto Salvini, chi ha votato centrosinistra ha scelto M5S. Quindi tra chi ha scelto il partito di maggioranza relativa, a torto o a ragione, c’è anche un pezzo del “popolo di sinistra” che è stato fianco a fianco con molti di noi negli anni passati e, nonostante la loro scelta, non riesco a sentirli indistintamente tutti stranieri, al pari di quanto invece avvenne con chi scelse Berlusconi, Lega Nord e i neofascisti nel 1994.

Come si è arrivato a tutto ciò, al risultato elettorale che ha anche sancito la sostanziale estinzione della sinistra, per come siamo stati abituati a conoscerla, nel nostro Paese?

Si possono individuare motivi esogeni e motivi endogeni, che in parte si rincorrono e intrecciano indissolubilmente.

La diffidenza nei confronti dell’Europa ha radici lontane. La tassa sull’Europa di Prodi (in parte restituita) fu pagata magari malvolentieri ma con la fiducia e la speranza, per molti, che sarebbe servito a creare un’Europa migliore, più vicina ai cittadini, più attenta ai bisogni dei singoli. E invece è bastato l’avvento dell’Euro, passaggio epocale ma gestito, ai tempi, con i piedi dal governo di centrodestra, per sovvertire completamente il quadro e nutrire una sempre crescente diffidenza nell’Europa, che è finita per apparire matrigna, sanguisuga, capace solo di imporre vincoli di bilancio, impotente davanti alle tecnocrazie, buona solo a legiferare sul parmesan cheese, nella maggior parte a discapito di aziende, produttori, consumatori italiani. Da qui il primo elemento di successo delle forze antieuropeiste e di conseguente crisi nella rappresentanza della sinistra, che è apparsa più come baluardo dello status quo che forza capace di mettersi alla guida di un processo di riforma profonda delle istituzioni europee. Metteteci pure che effettivamente, in una certa fase storica, buona parte della sinistra poi confluita in LeU ha effettivamente sostenuto il pareggio di bilancio in Costituzione e l’applicazione bovina dei vincoli di bilancio imposti da Bruxelles ed ecco che e uova iniziano a rompersi e la frittata a formarsi. E infatti le uova raramente si rompono da sole, quindi l’imposizione serrata dei vincoli di bilancio ha imposto la scrittura della riforma Fornero (anch’essa votata da “quellidisinistra” che sostenevano il governo Monti),  la madre della maggior parte delle recriminazioni (per non dire di peggio) di moltissimi lavoratori italiani che sono a loro volta sfociate nel voto a Lega e M5S.  Sono strasicuro che ciascuno di voi conosce qualcuno che ha votato Lega per il semplice fatto che, tra le sue promesse (realizzabili, secondo il Bagnai-pensiero, uscendo dall’Euro e ricominciando a stampare moneta…), c’era quella di abolire la riforma Fornero e consentire quindi di andare in pensione ad un’eta decente e soprattutto evitando di arrivare con la badante o il catetere sul luogo di lavoro.  Al solito il punto di forza, o di debolezza, di chi fa politica è la credibilità, e sei sei visto come parte del problema non puoi pensare di essere la soluzione del problema.

E siccome un problema se ne porta sempre appresso un altro, l’innalzamento dell’età pensionabile ha allontanato l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani, un circolo vizioso che alimenta la precarietà (manco ce ne fosse stato bisogno vista la situazione già critica che negli anni si è venuta a creare post riforme Treu, Biagi e, da ultimo, Jobs-Act) mentre i diritti dei lavoratori si assottigliano sempre più, fino a scomparire quasi del tutto nelle realtà lavorative post-fordiste alla Amazon, nel settore servizi, fino alla scuola (a tal proposito, se volete approfondire, vi consiglio di leggere Marta Fana).

Altro uovo che ingrandisce la frittata, rotto per gli urti con le altre due. E anche in questo caso gli elettori hanno reputato che la frittata fosse stata fatta anche con la complicità della sinistra, quindi meglio cambiar cuochi. Cuochi nuovi, magari inesperti, sperando che almeno un piatto di cacio e pepe la sappiano cucinare.

Insomma, mi sembra appropriato il concetto espresso da Ennio Fantaschini in Ferie d’Agosto.

Come uscirne, da dove iniziare?

(Apro una parentesi. Qui si parla di LeU, ma personalmente ho diviso il mio voto tra LeU e Potere al Popolo quindi due parole su di loro voglio spenderle. Li ho votati  al Senato e nonostante non fossi d’accordo al 100% con le loro proposte, nonostante la sceneggiata di Viola Carofalo al Brancaccio abbia contribuito, non da sola,  al fallimento di quel progetto che, con tutti i suoi limiti, poteva segnare un punto di svolta nella campagna elettorale e quindi per l’esito delle elezioni, nonostante non abbia condiviso le azioni messe in atto per impedire fisicamente alle persone, in questo caso Massimo D’Alema e Susanna Camusso, di prendere parte ad un convegno all’Università di Napoli, manco fossero stati di Forza Nuova o Casapound. Però ho scelto di sostenerli perché ritengo che rappresentino al meglio quella funzione di mutualismo sociale che un tempo era appannaggio dei partiti di sinistra e che oggi si è persa, perché si sono messi dalla parte dei più deboli con azioni concrete e non a chiacchiere, perché sono dalla parte dei migranti senza se e senza ma. Detto questo, non vedo pure per loro cosa ci sia stato da festeggiare per l’1 e spicci percento raccolto alle elezioni, forse davvero s’era bevuto troppo, la sera delle elezioni. Pur non avendo responsabilità dirette come la sinistra che ha partecipato al governo del Paese, sono stati travolti dalla stessa onda e quindi spero PaP e chi ha ha votato per loro si senta parte del processo di ricostruzione della sinistra in italia, con umiltà e senza preconcetti, perché stanno all’anno zero come tutti noi).

Come ho avuto modo di scrivere oggi su FB commentando un articolo del compagno Cardulli, lungi dal cedere a derive rottamatrici, se è vero che, probabilmente, non c’è tantissima differenza tra il 3% o il 6%, il risultato è stato ampiamente sotto le aspettative e credo che comunque non abbia aiutato il fatto che una parte consistente di chi ha incarnato “il problema” fosse in prima fila a rappresentare LeU. C’è una sparuta rappresentanza in Parlamento, non si sa quando si voterà di nuovo, se tra tre mesi o tra cinque anni, e in genere è più facile che una forza politica sia rappresentata, anche mediaticamente, da chi sta in Parlamento rispetto a chi ne sta fuori. Ecco, io non vorrei che in questi mesi, e magari per cinque anni , LeU fosse rappresentata principalmente (con tutto il rispetto che nutro per la loro storia e l’affetto personale che posso sentire personalmente) da Bersani, Epifani, Stumpo, Grasso, Errani, Speranza, Fassina. Credo che in tempi abbastanza rapidi vada favorito il profondo rinnovamento anche della rappresentanza parlamentare, consentendo a compagne e compagni che non sono stati eletti di crescere anche assumendosi la responsabilità di rappresentare la sinistra in Parlamento.

Certo non basta il rinnovamento delle classi dirigenti per provare a riconquistare la fiducia di chi, sentendosi abbandonato, ha deciso di scegliere altro. Ma è un primo passo. Sarà una strada lunga, lunghissima, durante la quale bisognerà mettere in discussione tutto. Sé stessi in primis, e poi metodi, riti, luoghi di discussione, analisi, certezze. Tutto. Ben vengano le assemblee convocate in questi giorni e quelle che verranno, momenti catartici nei quali è bene che nulla rimanga nell’alveo del non detto. Ma ovviamente non sarà sufficiente. Ne parlavo con il compagno Simone, forse davvero occorre ricominciare dalle Case del Popolo. Forse davvero, con tutte le difficoltà ulteriormente amplificate dalla disintermediazione, dalle nuove forme di comunicazione e partecipazione, occorre ricominciare da un partito strutturato che apra i circoli ai quartieri per offrire non solo un luogo fisico di discussione ed elaborazione ma che sappia far rete per intercettare i bisogni di chi è rimasto indietro. Di sicuro occorre occupare permanentemente e strutturalmente i luoghi del conflitto e rappresentare a livello parlamentare, con atti concreti,  le istanze dei lavoratori, de precari, degli insegnanti, di chi è rimasto indietro, di chi ha visto crescere sulla propria pelle le disuguaglianze, la precarietà, la paura nel futuro (senza però dimenticare la parte sana del tessuto produttivo, le imprese che non delocalizzano , gli imprenditori che senza paternalismo considerano i suoi dipendenti parte della sua famiglia, le aziende che innovano, che rispettano l’uomo e l’ambiente). Paradigmatico, in questo senso, il servizio di #PropagandaLive fuori dai cancelli della fabbrica FCA di Pomigliano d’Arco, patria di Luigi di Maio. Alla domanda di Diego Bianchi sul perché la sinistra non sta più fuori da quei cancelli, la risposta dell’operaio racchiude tutto: perché ha perso la strada.

Ritrovarla non sarà semplice, per niente.  Riconquistare la fiducia di chi si è sentito tradito  sarà un’impresa titanica, che probabilmente si compirà, se si compirà, in non meno di un decennio. Troppa la delusione generata in chi ha sempre votato a sinistra e oggi ha scelto altro. Però secondo me esistono ancora praterie a sinistra, ma non potremo riconquistarle se non sapremo rappresentarla con persone credibili sulle quali far camminare idee, pensieri, azioni.

Ritroviamoci, e forse dal letame nasceranno fiori, come diceva uno bravo.

Pensieri lunghi, diceva un altro ancora più bravo. Lunghissimi.

 

 

 

Si o no? Sarebbe facile, in fondo

Dare risposte immediate al possibilismo che pervade la sinistra italiana davanti alle ipotesi di alleanze post-voto con PD o con M5S. La destra no, quella no (ma chi è destra? Casapound? OK. Fratelli d’Italia? Bon. La Lega? Ci siamo. Berlusconi? Alfano? Ah son destra? Ma già è capitato in passato di governarci insieme? Davvero?).

Quindi, dicevamo, due domande semplici semplici che Pietro Grasso, o chi per lui, dovrebbe/potrebbe porre.

Per il PD: lo aboliamo il jobs-act, reintroducendo l’art. 18 e prevedendo come unica forma contrattuale il tempo indeterminato?

Per il M5S: la approviamo subito la legge sullo ius soli?

Due questioni cruciali, lavoro e cittadinanza. Se non si è d’accordo su questo, non c’è possibilismo che tenga. Restano solo le chiacchiere da campagna elettorale.

E per quelle abbiamo dato, grazie

I dolori della nascente sinistra

Io non so se esista realmente una sorta di maledizione, un demone meschino che induce quasi ad ogni pie’ sospinto quel mondo indistinto, eppur distinguibilissimo, che va sotto il nome di “sinistra” a farsi del male da sola ogniqualvolta sembra prefigurarsi la possibilità di costruire qualcosa di utile per un pezzo di Paese.
O se, tolto il demone, resti solo la meschinità degli uomini, dei singoli, le loro ambizioni.
La loro capa, insomma.
Nella dicotomia partiti-di-sinistra Vs civismo vedo, per ora, solo una ulteriore occasione persa.
Non voglio attribuire, nelle  vicende di queste ore, colpe, responsabilità, retropensieri, patenti di alcunché a chicchessia.
Prendo atto, con estrema amarezza, della situazione. Probabilmente ciò a cui assistiamo  avviene anche perché, come ha osservato Andrea Ranieri, il periodo immediatamente prossimo allo svolgimento di elezioni politiche non è il migliore per “costruire la sinistra”.
Vedo però degli elementi di criticità nel percorso che Sinistra Italiana, Possibile, MdP e Alleanza Popolare hanno intrapreso in questi mesi.

Innanzitutto, come ha ammesso anche Tomaso Montanari, il non essere riusciti a mobilitare in maniera significativa i cittadini nelle 100 assemblee per il programma che evidentemente non hanno fatto registrare, al di là della bontà delle proposte messe in campo, una presenza “fisica” tale da scongiurare scalate organizzate di soggetti “esterni”. E il solo pericolo di una deriva del genere nell’assemblea del 18 ha suggerito di annullare l’evento per evitare che da quell’appuntamento venisse meno lo spirito con il quale il percorso era iniziato.

(Apro una parentesi. si può esprimere soddisfazione per il ritorno della sinistra all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana. Ma il risultato di Claudio Fava e della lista unitaria che lo ha sostenuto è stato largamente deludente, dobbiamo dircelo chiarezza. E anche le assemblee di SI, Possibile, MdP non mi sembra che riescano a muovere folle oceaniche. Tra l’altro il rischio, come dice Alessandro Gilioli, che chi partecipa si fracassi sonoramente i coglioni mi sembra sia abbastanza elevato. Questo per dire che la partecipazione, e i consensi, sono un problema, a sinistra. E da solo il percorso unitario non basta a motivare sufficientemente tutti quelli che in questi anni hanno perso la fiducia per strada. Chiusa parentesi).

E sempre restando alle parole di Montanari, forse sono ingenerose le critiche mosse a Civati, Fratoianni e Speranza di aver deciso tutto a tavolino per quanto riguarda le assemblee provinciali che il 25 e 26 novembre dovranno scegliere i delegati che parteciperanno all’assemblea nazionale unitaria  del 2 dicembre. Voglio pensare, come come continuano a garantire i diretti interessati, che saranno assemblee locali quanto più aperte e scalabili è possibile, nella più ampia accezione del termine scalabile. Senz’altro mi colpisce l’aver sostanzialmente individuato il nuovo leader della sinistra nella figura (degnissima) di Pietro Grasso. Non per la persona, di qualità indiscusse e indiscutibili. Ma per il metodo mi permetto di sollevare qualche dubbio. Capisco la necessità di individuare per tempo una persona che in maniera autorevole, anche in virtù del proprio ruolo istituzionale, possa rappresentare una leadership che deve essere anche collettiva.

(Apro altra parentesi. Alcuni pongono la seguente questione: può Pietro Grasso, uscito dal PD pochi giorni fa, Presidente del Senato scelto anche dal PD e che ha consentito di portate avanti, dallo scranno più alto di palazzo Madama e nell’esercizio delle sue funzioni, tutte le contro-riforme del PD, proporsi in maniera autorevole come leader di uno schieramento che ha la sua cifra distintiva nella strenua opposizione a tutto ciò che il PD ha fatto in questi anni? E più in generale, quanto in questa fase deve essere inclusiva la sinistra nei confronti di chi ha avallato fino all’altro giorno, se non con la convinzione delle idee per disciplina di partito, le politiche messe in campo dal partito principale sostenitore del Governo? Chiudo altra parentesi).

Però sostanzialmente i partiti stanno calando dall’alto una leadership che poi vorranno legittimare con le scelte dell’assemblea (metodo top-down) probabilmente contraddicendo le buone intenzioni più volte manifestate (e ben tetragone in chi si è riconosciuto nel percorso del Brancaccio) di costruire una leadership dal basso che emergesse nel procedere delle varie fasi di discussione/confronto/sintesi (metodo bottom-up).

Insomma, ad oggi non sembrano esserci margini per ricucire lo strappo che si è consumato in questi giorni su questioni che sono dirimenti e sostanziali per il percorso che si sarebbe dovuto intraprendere uniti.

Sarò pessimista, ma allo stato attuale vedo piazze abbastanza vuote e, temo, urne ancor di più.

 

Le parole non dette a Piazza Santi Apostoli

Saltato l’appuntamento fuori porta, un giro a Piazza Santi Apostoli ieri l’abbiamo fatto.
Ho salutato con piacere, come immagino molti dei presenti, un po’ di persone che in questi anni abbiamo perso per strada. Anche tante persone del PD: ministri, sottosegretari, parlamentari, consiglieri comunali, semplici iscritti. Alcuni in incognito, altri no. Si leggeva negli sguardi il desiderio di ritrovare un terreno comune, ma sarà davvero possibile?
Nei giorni scorsi evidenziavo la necessità di ripartire, da oggi, senza ambiguità, con una scelta di campo netta. Ecco, non mi sembra che ciò sia avvenuto, ieri, in quella Piazza, ad opera dei promotori dell’iniziativa.
Il discorso più significativo l’ha tenuto Pierluigi Bersani, che ha pronunciato parole condivisibili su fisco, ambiente, lavoro, scuola, in linea con quanto ascoltato al Teatro Brancaccio due settimane fa. Meno bene sull’analisi della storia recente, sul rimpianto della sinistra che nel mondo a metà degli anni ’90 ha conquistato la fiducia degli elettori in molti paesi per poi tradirla con politiche che di sinistra avevano ben poco o che comunque non hanno saputo prevedere i disastri della globalizzazione, delle tempeste finanziarie, delle guerre. Parliamo di Blair, di Schroder, di Clinton ma anche dell’Ulivo, con i suoi leader e i suoi governi, che ha lasciato incompiute riforme (pensiamo solo al modo del lavoro e la mancata regolamentazione del precariato che in quegli anni ha la sua origine) la cui mancanza ancora oggi pesa come un macigno sulla vita delle persone. Su questo solco ha proseguito la sua opera anche il Partito Democratico, negli anni in cui ha governato, e quindi mi perplime alquanto sentire parlare, dal palco di Piazza Santi Apostoli, di centro-sinistra. Perché, e in questo Renzi ha ragione, un centro-sinistra senza il PD non è pensabile. Ma nemmeno è pensabile un PD che faccia ammenda di sé stesso e riconosca il fallimento delle maggiori (pseudo)riforme che ha sostenuto in questi anni. Anzi, Renzi in questi giorni rilancia, e lo fa perché è forte, giustamente, del consenso ottenuto nel congresso che si è chiuso poche settimane fa. E allora ecco l’ambiguità non risolta, la scelta di campo incompiuta, ieri. Le parole udite da quel palco sono, allo stato attuale, del tutto incompatibili con un’alleanza con il Partito Democratico. Sono incompatibili con lo svolgimento di primarie del cosiddetto centro-sinistra. Sono incompatibili con un patto post-elettorale nel caso in cui, come è ormai probabilissimo, si voterà con sistema proporzionale (si tratta solo di decidere quale sarà la soglia di sbarramento).
Eppure si punta ancora ad un centro-sinistra largo, come se ci fosse solo da mettere a punto piccole questioni programmatiche con il partito il cui segretario è Andrea Orlando.
Ecco, le cose non stanno così. Per niente. E quindi fatico a capire come intendano uscirne Pisapia, Bersani, Campo Progressista, Articolo 1, Insieme. Anche se uscissero ancora pezzi di ceto politico e di elettori dal partito di Renzi, il segretario andrebbe avanti come un caterpillar, non è uomo che ammette i propri errori.
Mi è invece più chiaro il percorso segnato da Montanari e Falcone, con Sinistra Italiana, Possibile e chi ci sta. Alternativi al PD. In questa fase non può essere che così.
Spero che i compagni presenti ieri in Piazza Santi Apostoli lo capiscano quanto prima, e agiscano di conseguenza.

Mi interessa di più il 2 luglio 2017

Non credo che sarò a Piazza Santi Apostoli il primo luglio.
No, non devo lavare la macchina né tinteggiare il balcone di casa, ma semplicemente ho preso un impegno fuori Roma da tempo.
Però seguirò con interesse quanto succederà in quella piazza, nella speranza che questo appuntamento tanto atteso serva a mettere definitivamente da parte due elementi che per troppo tempo hanno caratterizzato il dibattito a sinistra e le posizioni dei suoi leader: l’ambiguità e, conseguentemente, la mancanza di decisioni chiare.
Ne hanno sofferto alcuni, per motivi diversi (Civati, Fassina, Bersani, Speranza) e ne continuano a soffrire altri (Cuperlo, Orlando, Gotor).
E i tentennamenti, le decisioni ritardate, sono tra le cause che non hanno contribuito a migliorare la percezione della “sinistra” in quel parte dell’elettorato che da tempo aveva capito che Il renzismo non poteva essere un approdo e nel contempo però vagavano (e moti continuano a vagare) senza bussola.
Quindi, se un messaggio deve venire dalla piazza del primo luglio, è esattamente questo: chi sta lì deve essere alternativo al PD.
Non contro.
Alternativo.
Al PD e non a Renzi.
Perché Renzi è il PD.
Lo hanno deciso, legittimamente, le primarie poche settimane fa.
Pensare quindi che il PD possa essere qualcosa di diverso da quello che è stato in questi anni è puerilmente illusorio.
Decidano Pisapia, Cuperlo, Gotor, Speranza, Bersani, Articolo 1, Campo Progressista, parenti e affini.
O di qua, o di là.
Basta ambiguità.
Basta.
Grazie.

Appello ai compagni di SEL

Carissimi compagni di SEL, sono giorni difficili anche per voi, mi rendo conto. Sentirsi dire, come ha fatto ieri Laura Boldrini (autorevolissima esponente del vostro partito), che sulle scelte importanti SEL e il PD non presentano differenze, beh, mi avrebbe fatto arrabbiare non poco. Sentirsi dire che la pensate allo stesso modo sul jobs-act, sul demansionamento, sul controllo a distanza dei lavoratori, sul preside manager, sulla buona scuola, sulle trivelle, sui 3.000 €, sull’italicum, sulla riforma della Costituzione non è proprio il massimo . Di sicuro dentro SEL ci sarà qualcuno tentato dalle sirene del governo, dalla retorica berlusconian-renziana della fiducia, dell’ottimismo che è il sale della vita (politica). E allora forse è giunto il momento di fare chiarezza, al vostro interno. Certo, non è facile. Non è facile liberarsi del vostro ingombrante leader che ormai è la narrazione di sé stesso. Peccato, qualche anno fa avrei consegnato volentieri a Vendola le chiavi di casa del centro-sinistra. Non è facile rinunciare ai posti di governo sparsi tra regioni e comuni. Perché in effetti SEL non è mica Rifondazione Comunista. Là ci stanno quattro reduci, tipi alla Ferrero, alla Mantovani, alla Russo Spena, che al massimo puoi incontrare a piazzale Aldo Moro a volantinare giornali improbabili che si rifanno alla lotta comunista. Là ci stanno assessori, consiglieri, finanziamenti pubblici. Governo e sottogoverno. Come nella regione Lazio. Dove per esempio, a proposito di grandi scelte che non presentano differenze con il PD, tutti d’accordo con la realizzazione della Roma-Latina, con il consumo di suolo, con la mobilità insostenibile.

E allora si, è il momento di fare chiarezza, perché conosco molti di voi e so per certo che con il PD attuale avete pochissimo in comune. E il doppio binario nazionale/locale è una contraddizione in termini, un artificio retorico, un’ambiguità tutta vendoliana, se poi la realtà, anche sui territori, è quella delle scelte sbagliate (vedi sopra). Come ho avuto modo di dire, salvo rarissime eccezioni di giunte di sinistra che chiedono un rinnovo del mandato sulla base di scelte chiare su ambiente, diritti, eguaglianza, mobilità, innovazione è impensabile allearsi con il PD alle prossime elezioni amministrative.

Prendete atto che il progetto di SEL è arrivato ad esaurimento, che le fabbriche di Nichi sono un lontano ricordo e che la coalizione Italia Bene Comune è morta il giorno dopo le elezioni. Pensare di riproporla nelle città, nei Comuni, è solo un contributo alla crescita dell’entropia politica.

Scioglietevi. Ciascuno farà le sue scelte. Alcuni andranno nel PD. E diventeranno più realisti del re. O più renziani di Renzi, fate voi. Altri avranno il coraggio di navigare in mare aperto, come molti di noi stanno già facendo. La mia speranza è di incontrarvi lì, e di solcare questo mare su una barca da costruire insieme, pezzo dopo pezzo. Con l’obiettivo della terraferma, però. La terraferma che si chiama sinistra.

Ricapitolando

Renzi è il segretario del PD. Letta è il Presidente del Consiglio. Alfano è la punta di diamante degli alleati di governo di Letta. Renzi dice che non vuole creare problemi al governo Letta, ma vuole che si faccia qualcosa. E quindi chiede un patto per il 2014. Letta e Alfano vogliono il patto per il 2014. Però si discute sui contenuti del patto. Renzi spinge per civil-partnership, job-act (ricordate, quando si passa all’inglese c’è sempre la fregatura), Bossi-Fini, ius-soli e FIni-Giovanardi. Alfano non ne vuole sapere. Letta media. Letta, Renzi e Alfano dicono che la priorità è il lavoro. Il governo sostenuto da Letta, Renzi e Alfano non fa nulla per il lavoro. Renzi si arrabbia. Epperò dice che si vota almeno nel 2015. Letta dice che si vota almeno nel 2015. Alfano dice dice che si vota almeno nel 2015. Però serve la legge elettorale. Renzi la vuole fare con chi ci sta e propone tre modelli diversi (forse sa che il PD non arriverà mai ad una sintesi, e butta la palla dall’altra parte). Però Alfano dice che bisogna accordarsi prima con la maggioranza di governo. Però non si capisce su quale testo. Però intanto si discute. Epperò intanto si perde altro tempo. Letta ha i sudori freddi. Renzi scalpita. Però si candida a Sindaco di Firenze, contro il logorìo della vita moderna. Che non si sa mai. E però nel frattempo incalza il governo, e la sua maggioranza. E però sa che se tira troppo la corda si spezza. E però continua a fare proposte che  Letta e Alfano non potranno mai accettare. E però non gliene può fregà di meno altrimenti quello fregato è lui. E però si faranno i soliti compromessi al ribasso. Epperò non si può dire che non si sapeva. Epperò ci sta pure chi propone qualcosa di diverso. Epperò indietro non si torna.

Epperò poi arriva Napolitano e mette Renzi, Letta e Alfano d’accordo.

La mozione Civati dalla A alla Z

 

In queste settimane abbiamo cercato di raccontarvi la mozione, passo passo, attraverso diversi post, spiegando le nostre posizioni: tutti gli articoli specifici sono consultabili attraverso la categoria temi. Abbiamo pensato però di offrirvi anche una mappa grafica delle tematiche trattate (qui sopra) e un indice ragionato (qui sotto).

A come Ambiente. Verso una smart community che abita città possibilirifiuti zero e no agli inceneritoriun nuovo patto per l’acquaun piano energetico nazionale; trasporti stile “metropolitana d’Italia” grazie ad una rete multimodale.

B come Bilanciamento. Tra i poteri dello stato. Tra chi ha più e chi ha meno. Tra chi ha lavoro e chi non ce l’ha. Tra chi ha diritti e chi no. Un paese equilibrato è un paese senza conflitti e senza disuguaglianze: è un paese migliore.

C come Cultura. Rilancio di un piano di sviluppo trasversale e sistemico tramite un Agenzia Nazionale per la Cultura. Leva fiscale per i privati e premio ad enti locali. Sperimentazione e Innovazione come leva del progresso. Ibridazione filiere produttive.

D come Diritti. Verso una società che rimetta al centro tutti i diritti: sociali, civili, culturali. Riorganizzazione del lavoro in chiave famiglia. Tassazione pro impiego donne. Congedo obbligatorio per i padri. Sostegno alla disabilità. Matrimoni egualitari. Obiettivo: equità sociale.

E come EuropaNuova politica estera che rilanci l’Italia al ruolo che le spetta.Struttura istituzionale federaleProgressive Alliance nell’ottica di un Partito del Socialismo Europeo.

F come Fiscalità. Parole chiave: equità e sostegno. Riduzione tassazione lavoro e produzione. Redistribuzione delle ricchezze. Tassazione rendite. Lotta rigorosa all’evasione fiscale. No a stipendi e pensioni d’oro.

G come Giovani. “Dal ventennio (berlusconiano) si esce coi ventenni“. Ripensare ad un sistema paese che rilanci lo sviluppo degli individui e ne promuova le competenze: welfare studentesco, edilizia universitaria e convenzioni per la mobilità, diritto allo studio legato al reddito, incentivi per chi assume, scuole e università “aperte” come luogo di incontro e di socialità. Ridiamo una speranza e un senso di appartenenza a chi cresce nel nostro paese.

H come Handicap. Quello di un paese in cui aumentano le disparità e le lacune dei diritti. Rilanciare l’art.3 della Costituzione come obiettivo primario della politica: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana”. Abbattere le disuguaglianze e ridistribuire risorse e opportunità.

I come Integrazione. Ripensare la politica dell’immigrazione. Legge (comune) sul diritto d’asilo. Questione europea (non italiana). Investire sulla multiculturalità. Introdurre concetti di sponsorship. Introdurre lo ius soli: chi nasce e vive in Italia è italiano.

L come Lavoro. La prima emergenza in Italia. Aumento dei redditi, lotta alla disoccupazione. Premi per lavoro stabile e contrappesi contratti flessibili. Ammortizzatori universali per i disoccupati. Valorizzazione imprese. Incentivi per le assunzioni e tasse sui licenziamenti. Reddito minimo garantito.

M come Mezzogiorno. Interventi immediati e a lungo termine. Piano di opere pubbliche, miglioramento gestione fondi e risorse, maggiore attenzione all’immenso lavoro operato dal volontariato.

come Nuovo PD. Ovvero il PD che sarebbe dovuto essere. Un partito orizzontale che abbia al centro il dialogo tra elettori e simpatizzanti. Una rete di persone. Circoli aperti come luogo di confronto. Liquid Feedback. Distinzione tra partito e istituzione di governo. Sistema di ricerca e sviluppo (Fondazione di Studio) che analizzi e valorizzi le proposte che vengono dai cittadini. Open data e accessibilità all’insegna della trasparenza, sempre. Débat public come in Francia. Referendum, doparie, e strumenti di consultazione costante.

O come Open data. Accessibilità delle informazioni ovunque e comunque in tutti i campi e con tutti i mezzi, tradizionali e tecnologici. All’insegna della trasparenza, sempre.

P come Pubblica amministrazione. Promuovere lo sviluppo del settore pubblico attraverso mappatura delle competenze; valorizzazione risorse umane; enti trasparenti. Abbattimento della corruzione. Lotta ai conflitti di interesse in ogni settore. Progetto “Enti trasparenti“.

Q come “Questione maschile”. Perché le lacune culturali e di fatto sulle pari opportunità sono il risultato di un “problema maschile“. Bisogna investire sulla cultura della genitorialità. Riconsiderare il lavoro in chiave egualitaria (anche negli stipendi). Stanziare risorse ad hoc per i centri ed associazioni antiviolenza. Modificare la Legge 40.

R come Riforme. Un paese fermo da vent’anni riparte solo attraverso riforme strutturali: legge elettorale; no al Presidenzialismo; diminuzione del numero dei parlamentari; abrogazione province e diminuzione comuni; Senato come camera autonomie.

S come Scuola. Definire e raggiungere uno standard nazionale dell’istruzione. Lotta al precariato. Tempo pieno. Educazione all’interculturalità. Scuole dell’infanzia a livelli Ue in tutta Italia. Autonomia didattica e progettualità. Politiche di sostegno per l’integrazione dei bambini con bisogni educativi speciali (disabilità, ecc.).

T come Testamento biologico. Da troppi anni la sinistra ha smesso di dare voce ai diritti fondamentali. Sì all’autodeterminazione, tramite il testamento biologico. Sì all’attuazione degli art.9 e 32 della Costituzione: garantire il diritto all’ottenimento delle cure un’assistenza sanitaria davvero universale. E sì alla ricerca sulle cellule staminali embrionali.

U come Università. Nuova etica della ricerca e delle assunzioni. Valutazione di chi ha assunto anche in base a chi ha assunto. Relazione forte col territorio e il mondo del lavoro. Valorizzazione Dottori di Ricerca. Revisione carriera universitaria. Promozione di un’edilizia universitaria. Diritto allo studio legato al reddito familiare.Università aperte tutto il giorno come luoghi sociali da vivere.

come Valorizzazione. Delle competenze e dei talenti, delle risorse, del patrimonio ambientale, culturale e museale.

Z  come Zero Corruzione. Una politica forte, sana e pulita, improntata al massimorispetto della legalità e all’intolleranza zero nei confronti di ogni tipo di corruzione: morale, culturale, materiale. No all’Italia dei clientelismi, dei nepotismi, dei familismi. Creare un osservatori sui reati contro la P.A. White lists antimafia. Disincentivi e dure sanzioni economiche nei confronti di chi trasgredisce.