Ad esempio avrebbe potuto dirlo ai suoi figli. Ma non credo che siano stati messi nella condizione di ricevere una tale critica da un genitore-ministro. E mica sono laureati in lettere che lavorano ai call-center. O laureati in chimica industriale precari nelle scuole comunali di Roma a 200 ore l’anno per 31 € lorde l’ora. E di esempi ne potrei fare a bizzeffe. La verità è che questi sono dei marziani. Che non hanno la minima idea della vita reale del paese. Scollati totali.
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L’iperuranio
Pensare che il discrimine tra partite IVA vere o fasulle possa essere il reddito di 18.000,00 € lordi l’anno (!) è una fesseria immane che dà il segno esatto di quanto l’attuale classe dirigente, fatta per lo più di “anziani” ipergarantiti e col posto fisso, non abbia la minima idea di come sia fatto il mondo del lavoro, oggi, in Italia. Per esperienza personale, quando lavoravo a partita IVA guadagnavo, fortunatamente, più di 18.000,00 € già dieci anni fa, ma ero un lavoratore dipendente a tutti gli effetti. Questi o ci fanno o ci sono.
Estremo ed improbabile
E allora, come stanno le cose? Le modifiche apportate alla nuova disciplina dell’articolo 18 sono una vittoria del PD e recepiscono le richieste avanzate da Bersani oppure il reintegro sarà previsto per casi “improbabili” e quindi tutto resta come prima? Io credo al mio segretario, ma allora perchè tutto questo affrettarsi a mettere paletti, a precisare, a rassicurare? Perchè questo gioco al massacro? Chi prende per il culo?
Redditi, salario e produttività in Italia (e le relative bufale)
Lunedì ero ad un convegno organizzato dall’ANCE sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. A margine si è parlato, ovviamente, della situazione economica e dell’articolo 18. Beh, i costruttori edili (e hai detto cotica!) ritengono che la riformulazione dell’articolo 18 prevista dal governo non serva all’economia del Paese e quindi alle loro imprese. Quello che chiedono, e non sono gli unici, è un abbassamento del costo del lavoro. Un operaio che riceve in busta paga 1.500 €, a detta dell’ANCE, all’imprenditore ne costa 4.000, di Euro. Ridurre il cuneo fiscale, quindi. Fu uno dei cavalli di battaglia nelle ultime campagne elettorali dell’Unione. Che poi nessuno lo sapeva cosa fosse, ‘sto cuneo fiscale. Quando si dice parla come mangi. Vabbè. Ma la situazione è davvero quella che in molti raccontano? Il costo del lavoro, in Italia, è davvero così alto? A leggere questo articolo, sembrerebbe di no.
Nascere o morire
Da quel che si può leggere sui giornali, la proposta di riforma del mercato del lavoro, formulata dal governo e accettata da tutte le parti sociali tranne la CGIL, presenta aspetti positivi (pochi) e aspetti negativi (molti). La semplificazione nella jungla dei contratti atipici e la trasformazione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi è un passo in avanti anche se, quasi sicuramente, la maggiore tassazione dell’1,4 % finirà per essere scaricata sulle retribuzioni. Resta da sciogliere il nodo delle finte Partite IVA, e non mi sembra che possa essere sufficiente l’impegno del governo e delle parti sociali ad un impegno per un “contrasto secco” al fenomeno. Buona anche la sperimentazione sulla paternità obbligatoria. Ciò che, ovviamente, è inaccettabile, è la riforma dell’articolo 18 (a parte l’estensione del diritto al reintegro in caso di licenziamento per motivi discriminatori alle aziende con meno di 15 dipendenti). Non c’è alcuna evidenza, da un punto di vista economico-scientifico, del nesso tra l’articolo 18 nella sua attuale formulazione e la ritrosia delle aziende ad assumere. Sono chiacchiere. L’articolo 18 rappresenta un elemento di civiltà per il semplice fatto di stabilire che un diritto, come quello al lavoro, non è monetizzabile. Punto. Non ci sono 15 o 27 mensilità di indennizzo che tengano. Nel dibattito in corso negli ultimi mesi il concetto onnipresente era quello di spostare la tutela dal posto di lavoro al lavoratore. Mi sembra che in questo modo si sacrifichino sia l’uno che l’altro.
Ma al di là del merito del provvedimento, passibile di modifiche più o meno sostanziali nell’iter di approvazione in Parlamento, ciò che colpisce è il metodo. La concertazione è oggi vista come un disvalore, il male assoluto. Il centrosinistra e il PD hanno osannato per anni il modello Ciampi, portato ad esempio di come coniugare riformismo, rigore economico e pace sociale. Monti e il governo si sento tronfi per aver imposto un modello di riforma senza il consenso della CGIL. Uguale a Sacconi. E infatti il PDL esulta.
Il Partito Democratico deve decidere (e sarà costretto a farlo nel corso del dibattito parlamentare che seguirà alla presentazione della riforma), se la coesione sociale debba essere ancora un principio ispiratore della propria azione politica o se, invece, quel tempo è definitivamente tramontato. E con esso l’idea di PD che molti di noi hanno coltivato. Sempre che sopravviva, il PD, a tutto ciò.