Sono passati dieci anni da quel luglio del 2001. Sembrava che il mondo potesse cambiare davvero, sotto la spinta di un Movimento che si opponeva alla “globalizzazione” e immaginava una società più giusta. Una società a misura d’uomo, non solo commercio, business, sfruttamento delle risorse indefinito senza tenere in considerazione la natura. Grande attenzione per i poveri della Terra, esclusi da qualsiasi forma di progresso. Sfruttati, loro e loro terre. Lo sentivo vicino alle mie idee, alle mie aspirazioni, il Movimento. Mi riconoscevo spesso nelle parole di Luca Casarini, anche se erano chiare le contraddizioni, il rifiuto-non-rifiuto della violenza come forma di opposizione alle multinazionali, alla politica dei Grandi, ai processi economici in atto. Volevo andare a Genova, quel luglio del 2001, per il concerto di Manu Chao e per i cortei, le manifestazioni. Volevo esserci. Poi scelsi di rimanere a Roma, un pò per pigrizia, un pò per timore che il clima potesse surriscaldarsi oltre quanto si immaginasse già dalle tensioni della vigilia. Ho sempre pensato che se fossi stato a Genova, in quei giorni, e avessi visto con i miei occhi le violenze, i soprusi, gli abusi delle forze dell’ordine contro persone inermi (i “black-block” furono lasciati devastare pezzi di città indisturbati), avrei preso anche io un sasso in mano e l’avrei lanciato contro un poliziotto, un finanziere, un carabiniere infedele. O forse solo fedeli agli ordini che Fini, Ascierto e Mantovano impartivano dalle sale operative. Forse avrei preso un estintore e l’avrei lanciato contro una camionetta dei carabineri, nella quale c’erano ragazzi mandati allo sbaraglio, senza preparazione per poter fronteggiare i tumulti di quei giorni. Forse avrei fatto esattamente quello che ha fatto Carlo. Un ragazzo, come me, come tanti.
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