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Anche il consumo di suolo

Potrebbe diventare una di quelle situazioni per cui meglio di no, altrimenti cade il governo? In effetti forse le cose stanno in modo diverso, stavolta, visto che tra i firmatari della proposta di legge Ac/70 c’è anche Ermete Realacci. Ce lo ricorda Salvatore Settis, su La Repubblica di ieri.

Nella proposta Ac/70, «il suolo non edificato costituisce una risorsa il cui consumo (…) è suscettibile di contribuzione » (articolo 1), e infatti gli oneri di urbanizzazione restano tal quali, anzi basta moltiplicarli per quattro (se l’area è«coperta da superfici naturali o seminaturali») o per tre (se si tratta “solo” di suoli agricoli), e il miracolo è fatto: qualsiasi territorio diventa edificabile, e i relativi diritti possono essere sommati e trasferitiad libitum. Ben lungi dal limitare il consumo di suolo, la norma lo consacra traducendolo in un sovraccosto. Infine, istituisce i «comparti edificatori», mostruosa neoformazione dell’articolo 5, una sorta di consorzio dei proprietari privati di un’area determinata, che presentano poi al Comune «il piano urbanistico attuativo riferito all’intero comparto»: una vera e propria privatizzazione della pianificazione territoriale.

Ecco i primi frutti dell’ascesa di Lupi al ministero-chiave delle Infrastrutture. Se questa legge da Lupi l’avesse firmata lui, tutto regolare; ma a presentarla è Ermete Realacci, lunga storia in Legambiente, oggi presidente della commissione Ambiente alla Camera.

Sempre su La Repubblica riprende l’argomento anche Michele Serra.

Che dire, secondo me il PD si prepara all’ennesima figura di merda. Per dirla in maniera più elegante, all’ennesimo dietrofront rispetto alle proposte fatte in campagna elettorale, alla sua storia, alla sua natura. La prossima, Il Presidenzialismo, è già tra noi. In costante sintonia con il proprio elettorato, peraltro.

 

Macerata caput mundi

Questi continuano a non capire nulla di quello che è successo. Forse farebbero bene a leggere Michele Serra.
  
 
Credo, ormai, che il principale intento sia quello di ergersi a protagonisti della fase di transizione per decretare in maniera ancora più evidente l’impossibilità di rinunciare al loro contributo nei passaggi successivi. La supponenza di D’Alema come di altri dirigenti del PD, che si sentono insostituibili e inarrivabili da un punto di vista dell’intelligenza politica, al netto delle sconfitte patite dal 2000 ad oggi, che avrebbero pensionato qualsiasi altro leader europeo (Jospin, Gonzalez, Aznar, Blair, Shroder non rompono più i cabasisi all’interno dei rispettivi partiti politici),  inizia ad essere davvero fastidiosa.
Inizio inoltre a pensare che pure D’Alema non sappia bene cosa fare, in un fantomatico governo di centrosinistra, altrimenti sosterrebbe con coraggio le proposte (ce ne sono?) del proprio partito, invece di impantanarsi in provvedimenti tampone presi in accordo con PDL, Lega e UDC e che finirebbero per essere sostanzialmente la consacrazione del neo-centrismo del PD in campo economico.
Si chiedesse piuttosto quale sia stato il valore aggiunto di un candidato non-PD a Milano (siamo sicuri che Boeri avrebbe vinto contro la Moratti?), piuttosto che a Cagliari (Cabras non sarebbe arrivato nemmeno al ballottaggio) o a Cassino (D’Alema cita Macerata? E io cito Cassino!). Si chiedesse da cosa deriva la rinnovata partecipazione dei giovani elettori. Si chiedesse, infine, quale siano le responsabilità sue, della sua corrente e del partito tutto nella disfatta di Napoli e in Calabria piuttosto che nella vicenda della giunta regionale Siciliana. Il sud, questo sconosciuto.