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Trovare una sintesi

Ieri ho postato su FB un piccolissimo appello a Pietro Ichino e a Susanna Camusso ad incontrarsi e trovare una soluzione ai problemi del mercato del lavoro. Ne è scaturito un discreto quanto animato dibattito. Premesso che sono stra-contento della presa di posizione di Bersani sull’art. 18. Premesso che non sono un fan del professor Ichino anche se non demonizzo le sue proposte. Premesso che sono iscritto alla CGIL  quindi riconosco pregi e difetti del mio sindacato. Penso che il dibattito sull’articolo 18 sia strumentale, non credo che i problemi del mercato del lavoro italiano siano imputabili all’articolo 18 e che quindi licenziare con più o meno facilità possa risolvere la questione lavoro nel nostro Paese, soprattutto per le nuove generazioni. Ci sono varie proposte in campo, se ne discuta serenamente. Ma il sindacato deve fare uno sforzo decisivo per riuscire a dare una rappresentanza, e non esclusivamente una tessera, a tutti quei lavoratori che, oggi, tutele non ne hanno e quindi diffidano di un sindacato che sembra rivolto soprattutto a tutelare (e meno male!) chi è già inserito nel mondo del lavoro con contratti a tempo indeterminato. Per quanto detto Pietro Ichino e Susanna Camusso rappresentano, idelamente, le due posizioni estreme che dovranno necessariamente trovare una sintesi se davvero PD e CGIL hanno a cuore le sorti del Paese e delle giovani generazioni.

Primo Maggio, CGIL e feste comandate

Come avviene da qualche anno a questa parte, all’avvicinarsi della ricorrenza del Primo Maggio inizia a montare la polemica in merito all’apertura dei negozi nel giorno della Festa dei Lavoratori. Quella immensa piazza virtuale (ma nemmeno tanto virtuale) che è FB mi ha dato, nei giorni passati, la possibilità di confrontarmi sul tema con qualche amico, tra tutti Gianclaudio e Giuseppe. 

Una premessa obbligatoria: sono contrario all’apertura dei negozi il Primo Maggio (e non solo, come spiegherò tra un pò). Dovevo comunque a Gianclaudio una risposta, visto che la discussione, ovviamente, si era allargata, e non poco. Soprattutto si era arrivati a porsi la domanda se il sindacato (e, nello specifico, la CGIL) avesse titolo a parlare di difesa dei lavoratori, visto la netta opposizione espressa in merito all’apertura dei negozi nel giorno della Festa dei Lavoratori, o se, piuttosto, la posizione assunta da Susanna Camusso fosse un NO ideologico profferito da chi, nei fatti, finisce per occuparsi in maniera marginale proprio di quei lavoratori maggiormente interessati dall’apertura degli esercizi commerciali il Primo Maggio.  Commessi spesso giovani, precari, in nero, senza tutele. Magari da contrapporre a chi un contratto ce l’ha ed è sempre in cima ai pensieri del sindacato: metalmeccanici, statali, ferrovieri. O da contrapporre ai pensionati. Lo SPI-CGIL, quelli si che sono una forza.

Dico la mia, dunque. Che il sindacato, e quindi anche la CGIL, non abbia più l’autorevolezza e la forza di qualche lustro fa è un dato di fatto.  Certo, ha pesato la lentezza con la quale si è capito (e il percorso non si è ancora compiuto) che il mondo del lavoro stava evolvendo in maniera inesorabile in direzione di un massiccio ricorso a lavori atipici, il che necessitava di ripensare in maniera nuova (e se vogliamo, flessibile anch’essa) ai rapporti con le associazioni datoriali e con i lavoratori stessi. Si è capito tardi quanto fosse decisivo, per un sindacato che vuole essere al passo con le necessità del mondo del lavoro, dare rappresentanza a chi rappresentanza non ne aveva. Una massa informe di giovani, spesso scarsamente politicizzati, che quindi rappresentavano un bacino poco appetibile in un’ottica di collateralismo con le forze politiche di riferimento. Meglio continuare a coccolare chi, pur nella durezza del proprio lavoro, le tutele previste da un contratto nazionale le aveva già. Una strategia che ha comunque mostrato i suoi limiti, visto i risultati delle recenti elezioni politiche nei distretti industriali. Operai che votano a destra, che votano Lega, magari con la tessera della CGIL in tasca. E comunque è bene che il sindacato faccia il sindacato, e non politica. La mancata unità sindacale, tanto auspicata ma nei fatti impraticabile, con CISL-UIL-UGL ridotte a zerbino del governo di centrodestra e CGIL sulle barricate, ha probabilmente reso ancora più inviso il sindacato agli occhi dei lavoratori. Poi c’è il cattivo sindacato, quello rappresentato da delegati che predicano bene e razzolano male, privilegiati che fanno il bello e il cattivo tempo nelle pubbliche amministrazioni: raccomandazioni, difesa di lavoratori indifendibili, mantenimento dei privilegi a danno di chi è senza tutele. Tutto vero. Nella mia piccolissima esperienza personale ho visto tutto ciò e non ne sono stato contento. Affatto. Però.

Però non è vero che la CGIL abbia abbandonato i lavoratori precari e atipici. C’è il NIDIL-CGIL che, da quanto ho potuto toccare con mano, ha fatto e continua a fare molto per chi, fino a poco tempo prima, era privo di rappresentanza  e di diritti. Anche scontrandosi con le altre categorie presenti nella stessa CGIL. A Roma, la mia città, non si contano le realtà nelle quali il NIDIL è a fianco dei lavoratori precari non a chiacchiere, ma sostenendo azioni legali, vertenze collettive, scioperi, occupazioni, e spesso ottenendo buoni risultati. Certo, non è facile, per un sindacato, entrare in un luogo di lavoro, a maggior ragione se già presidiato da altri sindacati. E allora sono i lavoratori a doversi rendere conto che senza sindacato non c’è tutela, ma solo una contrattazione ad personam che rende tutti più deboli, esattamente ciò che le aziende vogliono. Si teme di imbattersi in cattivi sindacalisti? Allora bisogna iniziare a partecipare direttamente, a metterci la faccia, a votare nelle elezioni delle RSU e dei rappresentanti dei precari. E scegliere delle facce nuove che aiutino il sindacato ad essere migliore rispetto a quello che oggi è. Esattamente come deve avvenire per la politica. Non è il momento di tirarsi indietro.

Il resto, sono chiacchiere. Renzi contro la Camusso, la Camusso contro Renzi. La CGIL che non fa il sindacato. Chiacchiere. Ci si impegni per cambiarlo, il sindacato, se com’è adesso non ci piace. Ma nella consapevolezza che senza sindacato i lavoratori sono più soli e quindi più deboli, più ricattabili.

Detto questo, quindi, il riposo nel giorno del Primo Maggio è, per me, sacrosanto. Ma dovrebbe esserlo anche e soprattutto per  motivi non strettamente “sindacali”. La situazione economica del Paese rende appetibile, per i negozianti, qualunque occasione per aumentare i propri introiti. Ma è possibile misurare lo stato di salute di una nazione con il solo metro del consumo? I ritmi di vita della società moderna, soprattutto nelle città medio-grandi, impongono la necessità di prevedere giorni e orari di apertura dei negozi che vadano incontro alle esigenze di chi, durante la settimana, non può dedicarsi agli acquisti. Però mi chiedo: è proprio necessario consumare dei beni anche la domenica e i giorni di festa? Già nel 1968 Roberto Kennedy si chiedeva se il PIL potesse riassumere la felicità di un popolo.  Da ateo chiedo ai cattolici: ma la domenica non è il giorno del Signore? Non possiamo utilizzare la domenica, Natale, Capodanno, Pasqua, Pasquetta, Primo Maggio per consumare qualcos’altro? Cultura, ad esempio. Entrando in un museo, oppure in un teatro, oppure in un cinema? Consumare gli occhi, andando in giro per le nostre città e godere della vista di luoghi che normalmente non vediamo. Consumare le parole, riscoprendo relazioni interpersonali. Qualcuno mi dirà che per far ciò ci sarà bisogno di qualcuno che lavori anche nei giorni di festa. Giusto, ma un conto è lavorare per assicurare dei servizi essenziali (nei giorni di festa gli ospedali sono aperti, i mezzi pubblici funzionano, i treni circolano), altra cosa è lavorare per vendere un bene che può essere tranquillamente acquistato il giorno successivo (o forse se ne potrebbe addirittura fare a meno!).

Allora penso che un’amministrazione comunale “illuminata” dovrebbe tener chiusi i negozi il Primo Maggio e favorire, invece, la riscoperta di quella parte di città che sta al di fuori dei circuiti dello shopping. Altrimenti rischiamo di diventare, tutti, dei numeri privi di anima. Numeri con un € davanti. E per quello il PIL già ci basta.