Ecco come sono ridotti i leader di CISL e UIL.
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Sciopero generale
Vorrei che fosse proclamato al più presto uno sciopero generale.
Il più grande che la storia Italiana ricordi.
Proclamato dai sindacati uniti e che vedesse insieme, in una enorme e pacifica manifestazione, studenti, operai, insegnanti, medici, agricoltori, poliziotti, precari, piccoli imprenditori, partite IVA, avvocati, magistrati, ferrovieri, fuochisti, macchinisti.
Tutti.
Perchè la situazone economica lo impone.
Perchè rischiamo di diventare un paese senza presente e senza futuro.
Una lezione per la CGIL (e per l’Italia)
Tratto dal sito di Lettera43. Non posso evitare di pubblicarlo.
«L’unione è il nostro più grande punto di forza. In Germania non siamo politicamente divisi in sindacati diversi, talvolta in conflitto o in concorrenza tra loro. Siamo un movimento. E facendo muro compatto, tutti insieme, abbiamo salvato migliaia di posti di lavoro».
Prima di accettare l’intervista con Lettera43.it, i rappresentanti di Ig Metall, il potente sindacato dei metalmeccanici tedeschi, sono stati chiari: «Parliamo dei nostri accordi stretti con i grandi gruppi automobilistici, ma senza esprimerci sul caso Fiat, completamente diverso dai negoziati con la Volkswagen. E neanche sulle vostre divisioni interne. Sulle quali, abbiate comprensione, non vogliamo esporci pubblicamente».
Fatta questa premessa, ogni riferimento a fatti o persone nel corso del colloquio con Helmut Lense, per 15 anni presidente del consiglio di fabbrica dello stabilimento centrale Mercedes-Benz di Stoccarda e dal 1998 al 2009 membro del consiglio di sorveglianza del colosso automobilistico in rappresentanza dei lavoratori, sarà puramente casuale.
Certo è che, ad ascoltarlo, fischiano le orecchie. «Negli anni abbiamo dovuto stringere i denti», ha raccontato il leader sindacale, che dal gennaio 2010 coordina a Ginevra il settore auto della Federazione internazionale dei metalmeccanici (Imf), 25 milioni di dipendenti nel mondo, «anche trovando compromessi con i datori di lavoro. Ma solo a breve termine. Sin dall’apertura delle trattative era chiaro che, superata l’emergenza, sarebbero stati “restaurati” i parametri del contratto nazionale del lavoro».
Domanda. Herr Lense, con la recessione bisogna rinunciare alle conquiste sindacali per difendere i posti di lavoro, come nel caso Fiat?
Risposta. Nel caso Fiat preferisco non entrare. Anche in Germania siamo dovuti scendere a patti durante le crisi del settore automobilistico, accettando forme di flessibilità temporaneamente svantaggiose per i lavoratori.
D. Quanto svantaggiose?
R. Da una parte si è scelto di diminuire la produzione, riducendo proporzionalmente anche gli orari di lavoro e le retribuzioni mensili. I dipendenti interessati dal cosiddetto Kurzarbeit (lavoro corto), misura adottata per evitare licenziamenti, potevano richiedere la compensazione dello stipendio con un assegno di disoccupazione. In altri casi si è accettato di venire incontro ai gruppi industriali congelando gli aumenti e i bonus, in cambio del prolungamento dei contratti di di lavoro.
D. Non è un grimaldello usato dalle aziende per scardinare i contratti nazionali?
R. Non nel nostro caso. La crisi non è stata una scusa. Per quanto ci riguarda, ogni trattativa è stata aperta a patto che, superato il periodo negativo grazie a sacrifici comuni, tornassero in vigore le condizioni fissate dai contratti nazionali. Ogni deviazione dalla norma è stata una misura provvisoria e duramente negoziata.
D. Adesso Ig Metall sta contrattando per un aumento degli stipendi dei dipendenti Volkswagen.
R. Certo, la trattativa fa parte della normale negoziazione del tariffario Volkswagen. Una scadenza in calendario che non ha nulla a che fare con i bracci di ferro che si sono avuti tra sindacati e imprese, durante la pesante congiuntura.
D. La crisi economica è ormai alle spalle?
R. In molti settori, incluso quello automobilistico, sì. Possiamo tirare un sospiro di sollievo e riprendere la routine. Le aziende minori, soprattutto nelle zone meno produttive, stanno ancora accusando i colpi. Ma la tendenza, come confermano i dati sulla disoccupazione in Germania, mai così bassa dal 1992, è di generale recupero. Il clima è nuovamente ottimista.
D. La pax sociale tedesca è stata possibile anche grazie al meccanismo di cogestione che vede sindacato e industria seduti nello stesso consiglio. L'ha detto anche Epifani, che voi avreste cacciato Marchionne.
R. Guardi, tra capitale e sindacato, pur in condizione di parità numerica, vince sempre il primo. Non creda che sia così facile venire a patti. Chiaro che il nostro margine di contrattazione è più ampio rispetto agli altri Paesi europei. Possiamo, per esempio, arginare iniziative aziendali discutibili. Parlare di modello per l’Europa mi sembra però da arroganti. Direi addirittura che, in alcuni casi, il potere della nostra cogestione è stato sopravvalutato.
D. Però in Germania voi le lotte le vincete.
R. La nostra grande forza sta, prima di tutto, nell’unità. Siamo un sindacato unico, non dobbiamo accordarci tra associazioni appartenenti a correnti politiche diverse, che talvolta entrano in concorrenza e in competizione tra loro. Per questo, più che per la cogestione, abbiamo vinto molte battaglie sociali.
D. Tanto da far desistere le società dal delocalizzare nei Paesi dell’Est. Eppure il costo del lavoro in Germania è molto più alto.
R. Gli stipendi non sono tutto per le aziende. Il nodo delle retribuzioni non è l’aspetto centrale per le scelte degli industriali, almeno non negli stabilimenti tedeschi che hanno una produttività molto elevata. Il personale è efficiente e altamente qualificato, i macchinari sono di ultima generazione. Delocalizzare è un gioco che non vale la candela.
D. Gli operai tedeschi guadagnano più degli italiani. Secondo i dati dell’Ig Metall, la busta paga di un addetto alla catena di montaggio della Volkswagen è di 2.750 euro lordi al mese, 18 euro l’ora. Ma non è un peso per il gruppo.
R. Con l'intesa del febbraio 2010 la casa automobilistica di Wolfsburg ha concordato di mantenere 95 mila posti di lavoro. In cambio ci siamo impegnati pro tempore a fare uno sforzo collettivo. Superata la crisi, la produttività sta tornando alta. Come ho detto, è questo l’aspetto decisivo che frena molti piani di delocalizzazione
E’ tutto lì, operai di Mirafiori
Bonanni, ma quante cazzate dici?
Ma con che faccia ti presenti agli occhi dei lavoratori?
Almeno abbi il coraggio delle tue azioni. Puoi tranquillamente dire che hai accettato il classico ricatto occupazionale di un imprenditore talmente illuminato che ha semplicemente detto o è così o me ne vado, anche se il referendum a Mirafiori dovesse sancire la vittoria del no all'accordo. E l'hai accettato perchè ormai la CISL e la UIL non sono più sindacati, ma sono parti datoriali. E se il si prevarrà, sarà solo per la paura di perdere il posto di lavoro. Ma per favore, non venirci a parlare di diritti salvaguardati.
….diverso il parere del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni secondo il quale "dal mese di giugno la Fiom sta tentando di creare confusione nelle fabbriche con scioperi mal riusciti". Per Bonanni se il sindacato dei metalmeccanici della Cgil "fosse maggioritario, e non lo è, avrebbe spinto la Fiat ad andarsene dall'Italia".
Ma i diritti dei lavoratori "sono stati salvaguardati", ha rassicurato il leader della Cisl parlando a Mattino Cinque su Canale5. Secondo Bonanni l'accordo per Mirafiori dà diritto a "posti di lavoro, prospettiva, più salario. L'azienda stava chiudendo, che ci sia stato un manager come Marchionne che ha voluto saper ricostruire le condizioni di base dell'azienda e ha avuto la capacità di allearsi con la Chrysler e darsi un piano che incoraggia i mercati a finanziare un piano industriale per noi importante".
Bonanni ha aggiunto che "quando si parla di flessibilità si fa confusione. Marchionne ci ha chiesto una sola cosa: non meno salario, non taglio di alcuni diritti, ma solo di permettere una organizzazione del lavoro in grado di sfruttare al 100 per cento gli impianti. I dipendenti lavoreranno 8 ore come prima ma in tre turni giornalieri, è tutto lì".
Io sto con la FIOM
Ho firmato l'appello qui.
La società civile con la Fiom: "Sì ai diritti, No ai ricatti". Firma l'appello di Camilleri, Flores d'Arcais e Hack
Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.
Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti.
Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack
Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa.
Sulla pelle degli operai
Poteva il PD avere una posizione unitaria sulla questione Mirafiori?
Ovviamente no.
E in questo caso, meno male, aggiungo.
Cofferati la vede così:
«Vuol dire che la sinistra è cambiata molto, in profondità. Sono sorpreso da certe dichiarazioni, da chi vede una “parte buona” in questo accordo. Ma dove? Agli operai di Mirafiori si promettono 30 euro lordi al mese perchè aumenta il loro sfruttamento. Si impone agli operai di lavorare di più, anche il sabato notte, con lo straordinario obbligatorio e il modesto aumento, una miseria, deriva dalle regole dei turni, non c’è altro. La Fiat punta solo ad aumentare lo sfruttamento.
In effetti, è proprio il mutamento della "sinistra" che colpisce. Quando si invita a firmare un accordo che limita il diritto allo sciopero, che non paga le malattie, che esclude dalla rappresentanza chi dissente, viene proprio da chiedersi che strada ha preso 'sto benedetto PD.
Può definirsi ancora "di sinistra" un partito che accetta di derogare ai diritti minimi dei lavoratori in nome della modernità, della globalizzazione, della produttività?
E non illudiamoci, l'accordo di Pomigliano era solo un apripista, lo sapevamo tutti. Ma qualcuno, davanti a quella forzatura, ha minimizzato, pensando che Pomigliano sarebbe stato un unicum non esportabile. E invece ci troveremo, a breve, con enne situazioni come queste, con enne ricatti del Marchionne di turno. Perchè ciò che interessa è introdurre un nuovo modello di sviluppo, un nuovo modello di fabbrica, un nuovo modello di sindacato.
Con la complicità della Nuova Triplice e di pezzi importanti del PD.
Spero che, davvero, si dibatta anche di questo nella Direzione Nazionale del 13 gennaio.
E che emerga con forza la voce di chi non ci sta.
L’effetto domino di Pomigliano
Qualcuno ragionevolmente pensava che Pomigliano non avrebbe fatto scuola?
Le relazioni industriali in Italia stanno cambiando unilateralmente, anzi, trilateralmente, visto che CISL e UIL hanno rinunciato al loro ruolo di controparte rispetto all'azianda, ma si sono fatti sindacato-azianda a loro volta.
Ci sarà un referendum anche a Mirafiori, certo, ma ha senso una consultazione tra lavoratori quando su di essi pende la spada di Damocle del ricatto occupazionale?
E' possibile competere sui mercati globali semplicemente esportando modelli produttivi che comportano una diminuzione delle tutele dei lavoratori?
Anche a Pomigliano la FIOM aveva proposto all'azienda un contropiano che coniugava le esigenze di maggiore produttività con la salvaguardia dei diritti, ma se l'obiettivo ultimo della Nuova Triplice (FIAT-CISL-UIL) è quello di isolare la CGIL, allora non c'è trattativa che tenga.
Susanna Camusso, oggi, su La Repubblica.
"Sergio Marchionne? Un antidemocratico, illiberale e autoritario", risponde Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che per la prima volta parla dell'accordo separato alla Fiat-Chrysler raggiunto alla vigilia di Natale. Un'intesa – dice – che la Cgil non avrebbe mai firmato perché "non si può concordare l'esclusione di un sindacato". Camusso attacca Cisl e Uil: "Si sono trasformate in sindacati aziendalisti che propagano la posizione della Fiat". Poi la Confindustria: "O fa sentire la sua autorevolezza nel sistema delle imprese oppure prevarranno le regole della giungla. Non può limitarsi a guardare perché è in atto un'offensiva pure nei suoi confronti". Ma ci sono anche errori della Fiom, sostiene il leader della Cgil: "Dovremo discuterne al nostro interno". Nessuno sciopero in vista (a parte quello della Fiom) ma una grande campagna sul tema della libertà sindacale. E il Pd? "Bene Bersani – risponde Camusso – ma troppo spesso a sinistra si sviluppa uno stucchevole dibattito sull'innovazione senza accorgersi che può rappresentare anche un profondo arretramento".
Cosa significa l'esclusione della Fiom da Mirafiori, fabbrica simbolo nella storia industriale italiana?
"Significa il ritorno agli anni Cinquanta. Allora c'erano i reparti confino, oggi c'è l'esclusione della rappresentanza sindacale. L'idea, tuttavia, è esattamente la stessa. E cioè quella di costruire un sindacato non aziendale bensì aziendalista il cui unico scopo è quello di propagare le posizioni dell'impresa".
Non le pare un po' offensivo nei confronti della Cisl e della Uil?
"Guardi, nel suo libro "Il tempo della semina", Bonanni racconta con orgoglio come, proprio negli anni Cinquanta, la Cisl rifiutò la richiesta della Fiat di inserire nelle liste cisline per l'elezione delle Commissioni interne alcuni nomi graditi all'azienda. È Bonanni che illustra bene come il sindacato aziendale sia la negazione di quello confederale. Ora dovrebbe spiegarci lui come considera un accordo che contiene al suo interno le regole per escludere un altro sindacato confederale".
Si sta prefigurando un sistema di relazioni industriali senza la Cgil?
"Secondo me la Fiat ha deliberatamente costruito una successione di eventi per negare la libertà sindacale".
Marchionne ha sempre detto che tesi di questo genere non stanno né in cielo né in terra.
"E allora, perché non applica l'accordo interconfederale del '93 sulla libertà sindacale? Vorrei poi ricordare a Confindustria che non può restare immobile se vuole evitare che salti, come ha riconosciuto, il sistema della rappresentanza sindacale. Se non si vuole rischiare che il conflitto sociale diventi ingovernabile bisogna al più presto trovare un accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacali che completi il protocollo del '93".
Spetta alla Confindustria aprire il negoziato?
"È irrilevante chi lo fa. Io credo che Cisl e Uil abbiano sottovalutato l'effetto dell'intesa per Mirafiori. Perché quando si permette a una grande impresa di escludere un sindacato, si sa con chi si comincia ma non si sa con chi si finisce".
Considera Marchionne un innovatore o, come si diceva un tempo, un reazionario?
"Penso che il tratto distintivo di quell'accordo sia il suo essere anti-democratico. Direi che Marchionne è un anti-democratico e illiberale. Il tema vero è questo. Aggiungo che non può esserci un modello partecipativo che si fondi sull'impedimento della libertà sindacale".
Ma la Fiom non poteva firmare "turandosi il naso", rimanendo però all'interno della fabbrica?
"È difficile applicare il principio del voto con il naso turato nelle trattative sindacali. La Fiom, possibilmente con la Cgil, dovrà aprire una discussione su questa sconfitta. Perché, l'ho già detto, un sindacato non può limitarsi all'opposizione altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori".
Sta criticando la Fiom. Le colpe, allora, sono anche a casa sua?
"Quando c'è una sconfitta non possono non essere stati commessi degli errori. Nessuna grande sconfitta è solo figlia della controparte. Ce l'ha insegnato Di Vittorio: se anche ci fosse una responsabilità in percentuale minima, su quella ci si deve interrogare".
Perché condivide il no all'accordo per Mirafiori?
"Perché quella proposta è poco rispettosa della fatica del lavoro. Non si può applicare ai lavoratori la cosiddetta "clausola di responsabilità", secondo la quale non è possibile opporsi all'intesa e scioperare anche se le condizioni di lavoro diventano insopportabili. Una clausola di quel tipo possono sceglierla sindacati e imprese ma non possono subirla i lavoratori".
Dunque, questo è il motivo del no?
"Questo è il motivo . Comunque la Cgil non firmerebbe mai un accordo che escludesse un altro sindacato".
Ammetterà almeno che Cisl e Uil hanno reso possibile l'investimento della Fiat e così il futuro produttivo di Mirafiori?
"Capisco questo ragionamento e lo considero un tema importante. Tuttavia mi piacerebbe sapere qual è il progetto "Fabbrica Italia" e come la Fiat pensi di colmare il ritardo che ha accumulato rispetto ai suoi concorrenti sul versante dei modelli. Ma anche per questo continuo a non comprendere quale necessità ci fosse di ricorrere a un modello autoritario che ci riporta agli anni Cinquanta".
Piazza, bella piazza
Ieri manifestazione serena, pacifica. Centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per le vie di Roma senza incidenti, nonostante qualcuno avesse preannunciato chissà quale sfacelo.
Sono tornato a casa contento dopo aver incontrato Giovanni Barozzino e aver avuto l'onore di stringergli la mano.
Qui sotto l'articolo di Gad Lerner apparso stamattina su La Repubblica.
L'ingiustizia plateale di cui è vittima il lavoro dipendente nel nostro paese – rimossa dal governo, trascurata dalla sinistra – si sta riprendendo da sola l'attenzione che le spetta.
Solo un establishment miope, che ha lucrato per decenni sulla crescita delle disuguaglianze sociali senza peraltro compensarla con alcun vantaggio per l'economia, può liquidare la piazza romana gremita di lavoratori metalmeccanici come una manifestazione di estremismo politico. Da trent'anni una distribuzione squilibrata del reddito – che a differenza da altri paesi neppure la fiscalità e il welfare riescono a correggere – provoca un'imponente decurtazione della quota di ricchezza nazionale destinata alle buste paga. E come se questo non fosse un problema, ogni rara volta che viene ipotizzato un nuovo investimento nell'apparato industriale, esso viene preceduto dalla richiesta di concessioni normative a vantaggio dell'impresa. Quasi non provenissimo da decenni di moderazione sindacale e di concessioni rimaste senza contropartita alcuna per i lavoratori.
Può sembrare antico il simbolo della Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici della Cgil fondata nel 1901, con la ruota dentata e il martello affiancati alla penna e al compasso – ma chi lo irrideva alla stregua di un anacronismo ormai disgiunto dal malcontento operaio, ha perso la sua scommessa.
Ancora una volta si è confermato poco saggio confidare sulla divisione sindacale per edificare nuove relazioni industriali. Sono caduti nel vuoto perfino gli avvertimenti del vecchio "duro" Cesare Romiti. Peggio ancora, il ministro Maroni ha additato irresponsabilmente come pericolo pubblico la manifestazione promossa da una grande organizzazione democratica che merita il rispetto di tutti, compreso chi non ne condivide la linea sindacale. Mentre il suo collega Sacconi, novello apprendista stregone, ha sproloquiato vaneggiando di un inesistente "clima da anni Settanta".
La compostezza della protesta operaia ha fatto giustizia della linea di un governo che punta a stringere accordi con la Cisl e la Uil negando il ruolo decisivo della Cgil. Speriamo che l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, dopo aver dato in questa circostanza il cattivo esempio, riveda il proprio errore.
Toccherà ora ai sindacati di Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti ritessere un rapporto unitario con la nuova leader della Cgil, Susanna Camusso, contribuendo a sopire le tensioni che hanno dato luogo purtroppo a intimidazioni gravi nei loro confronti. Nessuno tra coloro che rifiutano calcoli politici di breve periodo, neanche la Confindustria, ha convenienza a fronteggiare la gestione della crisi economica con due piazze sindacali contrapposte. Tanto più dopo la giornata di ieri che ha evidenziato rapporti di forza diversi da quelli su cui forse anche Cisl e Uil facevano affidamento.
L'argomento secondo cui la Fiom Cgil mobilita grandi numeri solo perché intorno a lei si radunano forze radicali, precari della scuola e studenti estranei al mondo della fabbrica – il "nuovo antiberlusconismo" di cui parla Nichi Vendola – denota una visione politicista che elude la sostanza del problema: chiedere deroghe ai dipendenti in materia di malattia e diritto di sciopero, addirittura disdettare un contratto nazionale prefigurando ovunque normative svantaggiose, viene percepito come un'ingiustizia da chi molto ha già dato senza ricevere nulla in cambio.
Certo, dalla nuova posizione di forza acquisita, anche la Fiom Cgil dovrà avvertire la responsabilità di operare per una nuova unità sindacale, sedersi di nuovo ai tavoli delle trattative, vincendo la tentazione di un isolamento dorato.
Il Partito Democratico soffre più di chiunque altro questa divisione sindacale e paga il prezzo di non aver saputo delineare un suo impegno politico diretto nel mondo del lavoro, influenzando anche le dinamiche interne alle tre confederazioni. L'assenza di Bersani in piazza San Giovanni è dovuta al fatto che il segretario del Pd non può oggi permettersi di scegliere: difatti non aveva partecipato neppure alla manifestazione di Cisl e Uil, la settimana prima, a piazza del Popolo.
Magari fosse solo una questione diplomatica. La verità è che l'intera classe politica del centrosinistra, qualunque sia la sua matrice culturale, si è macchiata di un'inadempienza storica. Rescisso il legame esistenziale con gli operai, interrotto il circuito virtuoso per cui la rappresentanza delle classi subalterne si tramutava anche in leadership espresse direttamente dal mondo del lavoro, non ha allontanato solo il suo tenore di vita e la sua sensibilità dal popolo delle formiche. La classe dirigente del centrosinistra si è autoconvinta che un'adesione acritica alla cultura neo-liberale fosse il requisito indispensabile per candidarsi al governo del paese, supportata dal consenso di un establishment che nel frattempo si arricchiva spogliando risorse, anziché promuovere lo sviluppo.
Saranno necessari un cambio di mentalità, drastiche correzioni organizzative e di comportamenti, affinché l'attenzione al reddito e alla condizione operaia riacquisti il giusto peso nella politica del centrosinistra.
Non è un ritorno all'antico, ma un'adesione moderna alla vita quotidiana di chi fa fatica, il messaggio urgente che piazza San Giovanni rivolge a una politica distante.
Roma – 16 ottobre 2010
Domani si attende a Roma bellissima manifestazione, serena e pacifica.
Ovviamente il PD che fa? Tentenna. Come non essere d'accordo con quanto dice Marco?
10, 100, 1000 Pomigliano? Ma davvero?
Bonanni è convinto che si tratti della strada giusta. Quella che tutela di più i lavoratori. E i loro diritti.
Poi qualcuno prova a fargli capire che, invece, sono sulla strada sbagliata.
Episodi da non sottovalutare.
Ma chi soffia, davvero, sul fuoco?