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Un NO convinto, nel merito

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Ci siamo.

Il 4 dicembre è dopodomani.

Una liberazione, finalmente. Dagli eccessi di un dibattito che si è protratto fin troppo e che ha raggiunto spesso un livello infimo, grazie a buona parte dei contendenti in campo, su un fronte e sull’altro. Il suo ce l’ha messo sicuramente il Presidente del Consiglio che, notoriamente, non è un uomo da mezze misure. O con me o contro di me, e che il Paese sia lacerato oltremisura non è un problema da porsi oggi, e nemmeno nei mesi a venire. Perché al di là dei risultati di domenica, per spalare le macerie che si sono prodotte in questi mesi e ricostruire un minimo di unità nel paese ce ne vorrà, di tempo.

Qui sorge, per me, il primo elemento di critica nei confronti del referendum e di chi lo ha proposto. È vero, in un referendum ci si divide tra favorevoli e contrari. Ma un leader divisivo come Matteo Renzi non si era mai visto sulla scena politica italiana. Ad alcuni piacerà, per me è un male. Come è un male aver creato questa profonda divisone sulla Costituzione, la Carta che dovrebbe unire. L’aver legato, poi, i destini (?) della patria (spread alle stelle, uscita dall’Euro, economia allo sbando, disoccupazione, cataclismi, cavallette) a quelli personali di un leader è responsabilità unica del premier. Se l’esito del  referendum sarà a lui sfavorevole, ne trarrà le conseguenze che riterrà più opportune.

Entrando nel merito, voto NO perché questa riforma della Costituzione non raggiungerà alcuno degli obiettivi che con tanta enfasi hanno indicato durante questa campagna referendaria.

L’aver sottratto al Senato il voto di fiducia e l’iter legislativo tipico di un bicameralismo paritario non risolverà i (presunti) problemi dei tempi di approvazione delle leggi. Si è voluto surrettiziamente attribuire alla Costituzione la colpa del ping-pong dei provvedimenti tra Camera e Senato, omettendo di dire che quando (raramente) ciò succede la responsabilità è a carico esclusivo della mancanza di accordo tra le forze politiche che compongono la maggioranza. Si vuole insomma risolvere per via Costituzionale un problema che è squisitamente politico.

La formulazione del nuovo articolo 70  fa si che l’iter legislativo sarà comunque complesso, rendendo possibile il rimpallo delle leggi tra Camera e Senato, a maggior ragione se, come probabilmente accadrà, le maggioranze nei due rami del parlamento saranno disomogenee, come peraltro anche attualmente spesso avviene.

Le novità introdotte dal riformato art. 117 configurano uno spiccato centralismo che da un lato esautora le regioni da una serie di competenze sulle quali invece ritengo giusto che  si possano esprimere le comunità locali, dall’altro provocherà conflitti di attribuzione che finiranno con il rallentare il processo decisionale.

I miseri risparmi ottenuti con l’assenza di indennità per i nuovi Senatori (si poteva fare molto di più per via ordinaria, metà parlamentari a metà prezzo è una proposta in campo da anni e mai esaminata seriamente) non compensa minimamente lo scippo perpetrato ai danni degli elettori, che non potranno scegliere i propri rappresentanti al Senato (la scheda che mostra Renzi in queste ore è una bufala, siamo all’atto di fede). A questo proposito fatemi dire che la campagna di Renzi ha provato a scatenare gli istinti più populisti e beceri con argomenti “anti-casta” (quale??) che altri probabilmente possono utilizzare con maggiore credibilità. Ricordando che tra le copie sbiadite e l’originale tendenzialmente gli elettori preferiscono l’originale.

Il Senato, per come è disegnato, non è un Senato delle autonomie perché in esso siederanno i rappresentanti delle regioni senza alcun vincolo di mandato, e non i rappresentanti dei governi regionali, come invece avviene in Germania (altra bufala).

Restano in piedi le differenze tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale, la cui riforma è rimandata ad un domani imprecisato (altro atto di fede).

I tempi certi per la discussione delle leggi di iniziativa popolare non compensano l’aumento delle firme necessarie per la loro presentazione che, passando da 50.000 a 150.000, limitano di fatto la partecipazione dei cittadini. In questa (brutta) direzione va anche l’innalzamento delle firme da raccogliere per la presentazione di referendum.

Resta l’anomalia del voto per una riforma della Costituzione i cui effetti sono strettamente connessi alla legge elettorale con la quale si sceglieranno i rappresentanti della Camera (ennesimo atto di fede).

Timori fondati sorgono per il pluralismo nella scelta degli organi di controllo che non possono essere nell’esclusiva disponibilità delle maggioranze di turno.

Da ultimo, pare anche che l’abolizione del CNEL, additato come esempio supremo di sperperi e consociativismo,  non ci sarà.

Potrei continuare.

In generale non mi convince nemmeno un po’ l’idea che vada bene qualsiasi cosa pur di fare qualcosa. Sono sinceramente stanco di compromessi al ribasso. Di questo passo si arriva al peggio, e non è del peggio che abbiamo bisogno. Non più.

Molti sono spaventati dal dopo, e quindi indotti a votare si per evitare un salto nel buoi che solo Renzi evoca.

La mia modestissima opinione è che, in caso di vittoria del no, Renzi o non Renzi, sarà cambiata rapidamente la legge elettorale con un accordo PD/NCD/ALA/FI per arrivare ad un sistema proporzionale che spalanchi le porte a grosse koalition modello tedesco ed eviti il rischio di vittoria di M5S. L’Europa sarà contenta, ovviamente. Quindi sostanzialmente si andrà avanti esattamente come adesso. Del resto trovatemi le differenze tra Verdini, Alfano, Formigoni e Berlusconi.

La sinistra? Non pervenuta. Fuori da giochi. Per suoi demeriti. Per sua incapacità di interpretare e rappresentare con credibilità i fenomeni socio-culturali che investono l’Italia, l’Europa, il Mondo. Ma questa è un’altra storia.

Ad ogni modo ricordate, come ha detto uno bravo, che lunedì il sole sorgerà ancora.

Buon voto a tutti.