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Una passione finita (e mi dispiace)

Moser.

Il mio idolo era Francesco Moser. Saronni antipatico, ma bravo. E diventò campione del mondo a Goodwood, nel 1982. In volata, mi sembra. Qualche anno dopo Moser, comunque. Visentini aristocratico, andava in giro in Rolls-Royce, dicono, perché era straricco di famiglia. Ma gli piaceva crepare sulla bicicletta. Miro Panizza, il gregario per eccellenza. Hinault, bravo, non c’è che dire. Me lo trovai di fronte sull’Appia, a Marina di Minturno, quando passò di lì il giro del 1982 mi sembra, e ci portò a vederlo il maestro Tatta, perché stavamo alle elementari e quando passava il giro si fermava tutto. Ma il mio idolo era Moser, per gli altri non ce n’era. Tre Parigi-Roubaix di fila, e rompersi il culo sul pavè, giusto per entrare nella leggenda. Uomo da corse in linea, ma gli disegnarono per lui un giro d’Italia senza salite, nel 1984, e a Verona schiantò Laurent Fignon, in una cronometro che è rimasta nella storia. Ruote lenticolari, biciclette che sembravano arrivate dallo spazio. Quella stessa bicicletta che Moser utilizzò, sempre nel 1984, per polverizzare il record dell’ora. Cinquantunochilometriequalcosaallora, un treno a pedali, praticamente. Poi mi ricordo Marco Groppo. Maglia bianca ad un giro di nonmiricordoquando. Sparito nel nulla. E poi Bugno e Chiappucci. E Pantani. Chi non ha tifato Pantani. Appena la strada si impennava come la rampa del garage di casa, partiva. E non lo fermavi più. Sembrava che solo a guardarlo, dalla TV di casa,  sperando che battesse tutti, si potesse aiutare Marco a vincere la sofferenza che i pedali, la strada, il caldo, la fatica, ti mettono davanti. Poi ti batte la vita, e Marco se n’è andato, il giorno di San Valentino del 2004. Rimasi giorni a pensare a Marco e al suo gesto, in un periodo difficile anche per me. Ma poi torni a concentrarti sullo sport, o a quello che ne rimane. A Moser che nel suo anno d’oro praticava l’autoemostrasfusione, e tutti i grandi campioni degli anni ’90 e 2000 presi a farsi di qualcosa (s’è salvato Indurain, forse perché s’è ritirato prima che lo beccassero, o forse no). E allora capisco ancora la fatica, non c’è sostanza che ti tolga il dolore quando la strada sale, ma non ci credo più. Il ciclismo non mi appassiona più. Arrivo a dire, scusatemi, che sarebbe meglio legalizzarlo, il doping nel ciclismo, almeno partono tutti dalla stessa linea e poi chi è più bravo arriva primo. Ma così, non ci credo più.