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Il voto aggirato di milioni di persone

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Stefano Rodotà, dalle pagine de La Repubblica, argomenta sui referendum:

“Vengono invece poste tre serissime questioni politico-istituzionali: come riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, per cercar di restituire a questi la fiducia perduta e avviare così anche una qualche ricostruzione dei contrappesi costituzionali; come evitare che si determini una inflazione referendaria; come riprendere seriamente la riflessione su “ciò che resta della democrazia” (è il titolo del bel libro di Geminello Preterossi da poco pubblicato da Laterza). Ma sarebbe grave anche giungere alla conclusione che l’unico referendum che conta sia quello, sicuramente importantissimo, sulla riforma costituzionale, e che tutti gli altri non meritino alcuna attenzione e che si possa ignorarne gli effetti.

Sembra proprio questa la conclusione alla quale maggioranza e governo sono giunti negli ultimi giorni, nell’approvare le nuove norme sui servizi idrici, che contraddicono il voto referendario del 2011. Quel risultato clamoroso avrebbe dovuto suscitare una particolare attenzione politica e, soprattutto, una interpretazione dei risultati referendari la più aderente alla volontà dei votanti. E invece cominciò subito una guerriglia per vanificare quel risultato, tanto che la Corte costituzionale dovette intervenire nel 2012 con una severa sentenza che dichiarava illegittime norme che cercavano di riprodurre quelle abrogate dal voto popolare. Ora, discutendo proprio una nuova legge in materia, si è prodotta una situazione molto simile e viene ripetuto un argomento già speso in passato, secondo il quale formalmente l’acqua rimane pubblica, essendo variabili solo le sue modalità di gestione. Ma qui, come s’era cercato di spiegare mille volte, il punto chiave è appunto quello della gestione, per la quale le nuove norme e il testo unico sui servizi locali fanno diventare quello pubblico un regime eccezionale e addirittura ripristinano il criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” cancellato dal voto referendario.

È evidente che, se questa operazione andrà in porto, proprio il tentativo di creare occasioni e strumenti propizi ad una rinnovata fiducia dei cittadini verso le istituzioni rischia d’essere vanificato. Se il voto di milioni di persone può essere aggirato e messo nel nulla, il disincanto e il distacco dei cittadini cresceranno e crollerà l’affidabilità degli strumenti democratici se una maggioranza parlamentare può impunemente travolgerli.

Questo, oggi, è un vero punto critico della democrazia italiana, non il rischio di una inflazione referendaria…”

Due strade per arrivare alla Terza Repubblica

Beh, adesso non ci sono più alibi, davvero. il tempo delle scelte è arrivato. M5S ha reso noti i nomi dei loro candidati per la Presidenza della Repubblica. Gabanelli, Strada, Rodotà, Zagrebelsky. E poi gli altri. Il PD, avvitato nelle solite alchimie da Prima e Seconda Repubblica, ha la possibilità di contribuire a far entrare il Paese nella Terza Repubblica, se lo vuole davvero. Certo, sarebbe stato meglio essere parte attiva del gioco, piuttosto che subire scelte fatte da altri. Ma sarebbe chiedere troppo al PD attuale. A questo punto c’è ancora una possibilità. Anzi due. Il PD proponga dal primo scrutinio di votare Rodotà (Gabanelli e Strada hanno “declinato”, non credo che sarebbe per M5S un problema votare da subito Rodotà). In alternativa, in un momento di ritrovato orgoglio (non ci facciamo imporre il candidato da Grillo!! Ahahahaha), PD, SEL e chi ci sta eleggano al quarto scrutinio Romano Prodi. Qualunque altra soluzione (al di là dei nomi, e sfido chiunque a dire che Rodotà o Prodi non sarebbero garanti della Costituzione, dell’unità del Paese, delle minoranze e chi più ne ha più ne metta) concordata con il PDL non farebbe che alimentare ulteriormente il sospetto di una partita giocata da Bersani per continuare a sperare in un governo presieduto da lui stesso. E, in queste condizioni, sarebbe una catastrofe per tutti.

p.s. personalmente propendo per la prima ipotesi

Un popolo troppo emotivo

‎37 anni fa avrebbero tentato di affossare il referendum sul divorzio, soste-nendo che gli italiani erano ancora troppo scossi dalla separazione tra Elizabeth Taylor e Richard Burton.

La battuta non è la mia, ma di quel genio del mio cuginetto Andrea. Però è azzeccatissima per descrivere cosa sta succedendo con il referendum sul nucleare. E allora, davvero, decida la Consulta.