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Il futuro della mobilità a Roma

A Roma si sta iniziando a sviluppare un interessante dibattito sulla rete dei trasporti del futuro, grazie al progetto presentato da Metrovia, alle osservazioni formulate da Romafaschifo (spesso non condivido i toni e le risposte di Romafaschifo sui temi che analizza, ma ben venga il confronto).

Quello della cura del ferro, nella città di Roma, è un progetto del quale si parla da decenni, ormai. Un contributo sempre attuale lo ha dato anche Walter Tocci, qui, qualche tempo fa.

Ho dato un’occhiata al progetto di Metrovia e provo a dire brevemente la mia. Intanto mi sembra alquanto complicato trasformare le linee ferroviarie regionali in linee di metropolitana. O quantomeno la fanno un po’ facile, i progettisti. Come si realizza la cessione del servizio? Chi gestirebbe la rete, che oggi è di proprietà di RFI? Chi metterebbe i treni, che oggi sono di Trenitalia e vengono pagati tramite il contratto di servizio stipulato tra FSI e Regione? ATAC? Visto lo stato attuale in cui versa la municipalizzata dei trasporti di Roma mi sembrerebbe più realistica (!) un’acquisizione della rete metropolitana esistente da parte di Ferrovie, sinceramente.

E poi, con tutto il rispetto, mi sembra che i progettisti di Metrovia la facciano un po’ semplice sulla realizzazione di nodi di scambio e nuove fermate.

Due esempi relativi a zone della città che conosco.

Nodo di scambio Libia/Nomentana: un “collegamento pedonale sotterraneo con tapis roulant che corra parallelo alla metro B su viale Libia e poi su viale Etiopia”, anche se non lo fai con la TBM, comporta quantomeno chiudere del tutto due strade non secondarie, realizzare  paratie, solettoni per poi scavare una volta ripristinata la viabilità di superficie. Non è uno scherzo. Si fa, ci mancherebbe, ma non è un intervento da poco.

Nuova fermata Batteria Nomentana: anche in questo caso coprire il vallo attuale con una piattaforma sulla quale realizzare la stazione, modificando i binari attualmente presenti o, in alternativa, realizzare un collegamento sotterraneo non mi pare uno scherzo.

Moltiplicate tutto questo per 32 nuove fermate e 21 nodi di scambio e ne viene fuori un progetto non da poco, in termini di costi e tempi di realizzazione. Non sto dicendo che il progetto sia da buttare o che le cose siano irrealizzabili, dico solo che non è uno scherzo.

Che poi Roma abbia bisogno di progettualità, di risorse, di una visione che disegni, anche nella mobilità, la città del 2030 (2040?) è sotto gli occhi di tutti.

Quindi, in definitiva, ben vengano proposte e dibattiti che ne conseguono.

P.s. delle idee di Walter Tocci mi piaceva particolarmente l’applicazione del “Metodo Roma” alla progettazione integrata tra infrastrutture e archeologia, in modo tale da valorizzare al massimo i beni archeologici, soprattutto nella zona dei Fori Imperiali che, secondo le previsioni di Adriano La Regina, sarebbe dovuto diventare, con la realizzazione della fermata Colosseo, il più grande parco archeologico del mondo. Chissà.

Roma, la metropolitana, l’archeologia

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È di questi giorni la notizia, non certo inaspettata, di importantissimi ritrovamenti archeologici durante i lavori di realizzazione della nuova fermata della Metco C Amba Aradam – Ipponio.

Come valorizzare la massimo i tesori nascosti nel sottosuolo romano, integrandoli con le nuove infrastrutture, delle quali peraltro la città ha un maledetto e disperato bisogno?

A mio avviso l’unica strada resta quella tracciata nel passato da Adriano La Regina  e ripresa di recente da Walter Tocci.

Non bisogna nascondersi dietro le difficoltà archeologiche. Esse, al contrario, possono diventare opportunità, come prevedeva il progetto originario. Per merito di Adriano La Regina, uno dei migliori soprintendenti italiani, si decise di seguire nella progettazione il nuovo “metodo Roma” basato su una forte integrazione tra ingegneri e archeologi. Esso consiste nel collocare i rigidi volumi delle stazioni molto in basso, a ridosso della galleria, a circa trenta metri di profondità, per evitare l’impatto archeologico. Lo strato antico soprastante viene attraversato solo con le scale mobili che possono essere disegnate con più flessibilità e in modo non invasivo anche vicino ai reperti, i quali non solo vengono tutelati ma diventano visibili per i viaggiatori. Le stazioni si trasformano in musei sotterranei che aiutano a scoprire un’altra Roma ancora sconosciuta, ad esempio – sotto il rione Parione – i resti del teatro di Pompeo, un gigantesco monumento antico, oggi visibile per un frammento all’interno di un ristorante vicino Campo de’ Fiori. La linea C è stata progettata per attuare il progetto Fori, secondo lo studio che lo stesso La Regina aveva commissionato negli anni Ottanta a Leonardo Benevolo. La realizzazione dell’infrastruttura di trasporto toglie ogni alibi a coloro che si nascondono dietro problemi di traffico per impedire il progetto. La funzione automobilistica può essere cancellata definitivamente, può essere archiviata come una breve parentesi, non tra le più esaltanti, della lunga storia di quel luogo. Possibile che l’epoca nostra non abbia altro di meglio di un flusso di traffico da consegnare alle generazioni successive?

Con la metro C si può realizzare la totale pedonalizzazione dell’area, eliminando lo stradone del tutto estraneo al paesaggio storico e recuperando invece la geometria e le connessioni delle piazze imperiali. È possibile tornare a passeggiare ai Fori ascoltando il rumore dei passi sul selciato, potendo alzare lo sguardo con lo stato d’animo trasognato dei visitatori del grand tour, in un luogo moderno e antico allo stesso tempo, completamente dedicato all’incontro delle persone tra loro e con la storia. Roma non sarà mai davvero una città moderna finché non porterà a compimento la sistemazione dei Fori. Non sarà davvero città internazionale finché non avrà l’ambizione di proporre al mondo un senso nuovo della “città eterna”. Non sarà autenticamente città storica se non riuscirà a creare una tensione creativa tra passato e futuro. Come in un percorso psicoanalitico la persona nuova emerge da una rielaborazione del proprio vissuto, così per una città storica la vera modernità consiste proprio nel rielaborare il proprio passato, dove per rielaborare non si intende una ripresa retorica della memoria, ma un’attiva opera di riconoscimento. Nella pedonalizzazione svolge un ruolo strategico l’area compresa tra il Colosseo e largo Corrado Ricci. È un luogo paradossale, l’unico in cui si può scavare in tranquillità pur trovandosi nel cuore dell’area archeologica. Infatti, quello che oggi vediamo come un viale era fino agli anni Trenta il sottosuolo della collina Velia, che il duce sventrò per poter aprire la visuale del Colosseo dal balcone di piazza Venezia, ed è quindi privo di reperti.

La versione originaria del progetto della linea C, secondo il “metodo Roma”, utilizzava questa opportunità disegnando sotto il viale e in connessione con la stazione Colosseo un grande foyer di ingresso al parco dei Fori, prendendo a esempio l’accesso ipogeo del Louvre sotto la piramide di Pei inaugurato pochi anni prima. I cittadini che escono dalla metropolitana trovano un grande ambiente di servizi e di accoglienza – oggi totalmente assenti e difficilmente realizzabili in superficie – e possono documentarsi sulla storia antica, vedere un filmato, utilizzare strumenti didattici per i ragazzi ecc., prima di entrare nell’area archeologica all’altezza del Foro della Pace.

Questa versione del progetto è stata abbandonata nel 2010 a favore di una soluzione di basso profilo che purtroppo verrà realizzata se non ci saranno ripensamenti: la preziosa area ipogea viene interamente bloccata dagli impianti della metropolitana, rendendo certo più facile la realizzazione della stazione, ma rinunciando per sempre alla possibilità di dare al parco dei Fori una formidabile porta sotterranea di accesso. È la conseguenza del ritorno a una progettazione separata tra ingegneri e archeologi, i primi vedono in modo unilaterale il problema funzionale e i secondi rinunciano a proporre soluzioni limitandosi a gestire il vincoli. La scissione tra tecnica e storia è non solo una perdita di qualità, ma è la causa dell’inefficienza e dell’aumento dei costi. In mancanza di una progettazione integrata i vincoli sono diventati una manna dal cielo per il costruttore, che li ha strumentalizzati per attivare un enorme contenzioso nei confronti del committente. Tutti questi problemi derivano dall’inserimento dell’opera nella legge obiettivo che ha comportato la rinuncia a un forte controllo pubblico e ha favorito l’impresa privata.

Il Comune deve riprendere in mano il governo dell’opera dotandosi di strumenti di controllo di alta professionalità e provata credibilità. Se si fosse continuato ad applicare il “metodo Roma”, i vincoli sarebbero diventati risorse. E l’amministrazione comunale avrebbe accumulato un know how da esportare ovunque nel mondo si realizzino metropolitane in contesti archeologici. 

Ultime letture

Tutti consigliati, ovviamente.

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Del libro di Pippo parlerò a parte.

Number one Jennifer Egan (bellissimo anche Il tempo è un bastardo), soprattutto per la forma. Scatola nera è scritto sotto forma di tweet. Ogni periodo non è più lungo di 140 caratteri. E funziona alla grande.

Manzini ti fa appassionare al suo personaggio Rocco Schiavone, stronzo quanto basta.

Blondel è una scoperta (grazie a Fabio Luzietti e Valentina Catalucci di Radio CIttà Futura).

Manifesto dell’antimafia ci fa fare i conti con noi stessi. Da tenere sul comodino, in borsa, in macchina. Per ricordare sempre. A maggior ragione oggi che è 23 maggio.

Riformare le riforme (e non solo)

La strada è lunga è tortuosa, ma le cose accadono facendole accadere. E le brutte riforme si modificano (si spera) facendo proposte alternative a quelle in discussione.

La prudenza non è mai troppa, ma quanto si sta verificando in queste ore dà un (ulteriore) senso al nostro stare in campo.

E a chi continua a dire, quasi ossessivamente: andatevene da questo partito, sapete solo criticare, non volete bene al vostro segretario, siete sfascisti, gufi, rosiconi, grillini, diciamo NO. Finché ci sarà spazio per il confronto, per il dibattito, per il ragionamento noi saremo qui con le nostre idee perché il PD è anche casa nostra. E ci staremo con gentilezza e determinazione, abbassando i toni e alzando i contenuti, proseguendo nel coinvolgere le persone sui temi e sulle proposte, perché la politica è un progetto collettivo.

Perché questo sappiamo fare.

E poi magari, un giorno, la minoranza diventa maggioranza.

Walter Tocci e la riforma del Senato

L’intervento di Walter Tocci sulle riforme costituzionali al #confrontomaivisto.

 

Qui invece si parla delle proposte economiche del governo Renzi.

 

La parte finale del dibattito, su elezioni europee e prospettive della sinistra nel nostro Paese.

Resoconto del #confrontomaivisto

Bella, bellissima serata sabato a Minturno per il #confrontomaivisto.

Un pensiero ai presenti e agli assenti. E si, perché rispetto al “cartellone” iniziale ci sono stati un paio di cambiamenti. Gennaro Migliore non ha potuto partecipare a causa di un lutto in famiglia (e ancora un volta desidero fargli sentire la mia personale vicinanza). La senatrice M5S Ivana Simeoni, invece, un paio di giorni prima dell’evento ha dovuto declinare l’invito per “problemi interni al movimento”. Aspettiamo entrambi a braccia aperte, in qualsiasi momento.

Quindi è toccato a Walter Tocci, Raffaella Bolini e Giuseppe D’Acunto (segretario del circolo locale di SEL in sostituzione di Gennaro Migliore) farsi torchiare da Alessandro Gilioli, giornalista de L’Espresso e blogger.

Alessandro Gilioli

Alessandro Gilioli

Si è quindi discusso di riforme, Costituzionali ed elettorali. Di lavoro, di precariato, di job(s)-act. Di Europa. E delle prospettive di “riunione” in un unico grande soggetto della varie anime della sinistra italiana.

Walter Tocci

Walter Tocci

Walter Tocci, firmatario insieme ad altri 22 senatori del PD di una proposta di riforma alternativa rispetto a quella governativa, invita alla prudenza sulle riforme della Costituzione (sul suo blog potete leggere tutti i suoi interventi più recenti) e, su domanda precisa di Alessandro Gilioli, anticipa il suo voto contrario al “modello Renzi” qualora tale proposta di riforma del Senato dovesse arrivare in aula immodificata . Tra le affermazioni, sensatissime, di Tocci, quella che mi piace di più è la dichiarazione di fallimento della sua generazione come padri costituenti: troppe volte, in questi anni, sono state fatte pessime riforme, anche dal centrosinistra, e quindi meglio lasciare questo compito ad altri. In merito al dibattito in corso nel nostro paese su temi “sociali”, Tocci ha lodato le buone intenzioni dell’agenda Renzi, ossia il riportare al centro del dibattito la redistribuzione del reddito e il lavoro. Ottimo anche il partire dalla  ristrutturazione degli edifici scolastici come primo segnale di investimento pubblico per creare lavoro e cultura. L’appello di Tocci a Renzi, in sostanza, è stato: occupati dell’Italia, ma lascia stare la Costituzione. Passando alle elezioni europee, il senatore del PD ha evidenziato la novità di questa consultazione: per la prima volta il PSE (e bene ha fatto Renzi a far si che finalmente, dopo anni di tentativi messi in atto dai leader che si sono succeduti, il PD aderisse alla famiglia del socialismo europeo) si presenta con un programma comune ed un leader candidato alla presidenza della Commissione Europea. E se è vero, ad esempio, che grazie all’impegno di Martin Schulz in Germania, seppur in un governo di larghe intese, è stato possibile raggiungere un accordo su un salario minimo universalmente valido, allora con un successo pieno del PSE alle consultazioni del prossimo 25 maggio sarà possibile mettere in atto politiche sociali, economiche (e monetarie, aggiungo io) che potenzialmente possono offrire una risposta concreta alle politiche di austerithy fortemente volute dalla cancelliera tedesca. Infine, sulle prospettive di un soggetto unico della sinistra italiana (e rispondendo alla provocazione di Gilioli: ma tu, Civati, che ci state ancora a fare nel PD?) Tocci ha ribadito la volontà di tener vivo il dibattito parlamentare per preparare il dopo-Renzi, ma continuando a far politica in acque poco tranquille, e  stando nel gorgo per cambiare le cose. Almeno finché non si rischia di affogare.

Raffaella Bolini

Raffaella Bolini

Raffaella Bolini, candidata alla elezioni europee nella circoscrizione centro per la lista L’Altra Europa con Tsipras, sulla riforma della Costituzione ha le idee chiare. Contesta la lettura della JP Morgan che attribuisce alle Costituzioni dei paesi del sud-Europa una eccessiva attenzione ai diritti delle persone e piuttosto auspica che la Costituzione Italiana sia presa a modello ed esportata in Europa piuttosto che modificata secondo quanto pensato dal governo. Sulle politiche economiche del governo Renzi, Raffaella innanzitutto ci rammenta che a fronte degli 80 euro al mese per i redditi al di sotto dei 1500 € netti al mese, ci sono gli incapienti per i quali non è previsto nulla. E, nel merito, le cifre di cui si parla, seppur meglio di niente, sembrano davvero essere poco più di una elemosina. Il sostegno alla candidatura di Alexis Tsipras nasce dalla volontà di costruire un’Europa diversa, fondata sulle persone, sui diritti, sui beni comuni piuttosto che sul blocco dei poteri banche-finanza. E se la Lista Tsipras sarà decisiva nel disegnare il nuovo assetto del parlamento europeo, allora il PSE dovrà scegliere se rivolgersi a sinistra o piuttosto trasferire anche a Bruxelles le larghe intese con il PPE. Alla domanda di Alessandro, che chiede se l’esperienza de L’Altra Europa nasce e morirà con le Elezioni Europee, Raffaella ribadisce la volontà di proseguire oltre la scadenza elettorale, per consentire una interlocuzione costante del mondo dell’associazionismo con i partiti che rappresentano la sinistra nell’attuale Parlamento.

Giuseppe D'Acunto

Giuseppe D’Acunto

Giuseppe D’Acunto, compagno e amico da una ventina d’anni, ha avuto il compito, eseguito egregiamente (qualcuno aveva dubbi?), di sostituire il Gennaro Migliore. Giuseppe ha avuto parole durissime per Renzi (“il guitto di Firenze”), per l’attuale governo e per il percorso delle riforme, e ha messo in guardia, nel suo intervento, dal rischio di deriva autoritaria che si intravede nella sostanza ma anche nella forma, allorquando si utilizzando parole denigratorie nei confronti delle minoranze e di chi dissente, anche con voce autorevole. E a proposito di legge elettorale, ci ha ricordato che uno dei più autorevoli padri costituenti, Piero Calamandrei, eletto in Assemblea Costituente con un partito che raccolse l’1,6% dei voti, ai giorni d’oggi nemmeno potrebbe sedere in Parlamento dato che la legge elettorale proposta dall’asse Renzi-Berlusconi priva di rappresentanza le minoranze con soglie di sbarramento tanto elevate (8% per chi non si coalizza). Giuseppe ha bocciato senza appello l’agenda economica di Renzi, anche perché ci si accorge che sotto i titoli sono nascoste proposte che fanno regredire il Paese in termini di diritti e di benessere economico, come avviene, a suo dire, per le proposte contenute nel job(s)-act che istituzionalizzano la precarietà. Il segretario del circolo cittadino di SEL pensa, piuttosto, che per far ripartire l’economia sia necessario puntare sulle eccellenze produttive del nostro Paese e solo la fidelizzazione della forza lavoro può far mantenere elevati standard di qualità produttiva, soprattutto nella piccola e media impresa. Giuseppe pensa anche che sia necessario un grande intervento di sostegno pubblico al lavoro, che non vuol dire nazionalizzazione delle imprese ma impegnare risorse finanziarie statali per rimettere in moto l’economia del Paese. Sulle prospettive della sinistra in Italia, infine, il rappresentante di Sinistra Ecologia e Libertà ricorda come sia stato il PD a “tradire” il patto di coalizione che vedeva i due partiti presentarsi uniti alle passate elezioni sotto le insegne di Italia Bene Comune e ricorda anche come nel DNA di SEL sia presente l’aspirazione a fondersi in un contenitore più grande e appartenente alla famiglia del socialismo europeo, a patto però di riconoscersi in politiche comuni in tema di diritti, di ambiente, di politiche del lavoro.

Interventi dal pubblico. Il segretario del circolo PD cittadino Franco Esposito che “difende” (semmai ce ne fosse bisogno) Renzi e il suo governo e, rivolto a Tocci, chiede tempo per poter giudicare se farà bene o male. E conclude dicendo che la riforma del Senato, che prevede la nomina di amministratori locali quali suoi rappresentanti, non dovrebbe spaventare il PD, dato che in una siffatta assemblea gli amministratori del PD sarebbero sempre in maggioranza. Risposta di Tocci che ribadisce il concetto: Renzi si occupi di tutto eccetto che della Costituzione. E sulla seconda parte della domanda: non è che si fanno le riforme perché avvantaggiano una parte politica.

Franco Esposito

Franco Esposito

Altro intervento di Gabriele Russo, giovane segretario dei GD di Minturno che invita gli interlocutori a porre una particolare attenzione, in chiave elezioni europee, alla lotta alla criminalità organizzata e alle politiche giovanili.

Gabriele Russo

Gabriele Russo

Che dire, un dibattito serrato, franco, nel quale i protagonisti hanno mostrato tratti in comune (sulle Riforme) e visioni distinte (sull’Europa). Ma le differenze non sono così incolmabili e lasciano ben sperare per le prospettive della sinistra in Italia. Una sinistra che dovrà continuare a far sentire la propria voce per presentarsi in maniera autorevole agli elettori quando finirà l’epoca delle larghe intese (speriamo prima possibile).

Peccato per l’assenza della senatrice Simeoni, perché credo che il confronto sia necessario soprattutto in questo periodo storico e perché credo sia indispensabile coinvolgere, in Parlamento, le persone perbene e di buona volontà che hanno aderito al movimento per cambiare, in meglio, il nostro Paese e non per soggiacere ai diktat dei guru o di attivisti invasati.

Infine, un pensiero a Minturno, che non è un posto facile per fare politica, ma le persone presenti lasciano ben sperare. Noi insisteremo.

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#confrontomaivisto

In questi giorni appare sempre più evidente la forzatura che il premier sta mettendo in atto. Sulle riforme, sulla legge elettorale. Sulle spalle della Costituzione. Legare il destino del Paese ai propri destini politici e personali è profondamente sbagliato. Ed è un modus operandi che non appartiene alla storia del centrosinistra italiano. Non mancano i malumori, e non solo nel PD. Davanti al rischio di una svolta autoritaria, come evidenziato da Libertà e Giustizia, è possibile far fronte comune, in Parlamento, tra chi si oppone a riforme della carta a dir poco pasticciate? E davanti al rischio di perpetuazione del precariato a vita, è possibile, in Parlamento, trovare convergenze su proposte alternative? E in vista delle elezioni Europee, è davvero utile sbraitare in patria contro i vincoli imposti da Bruxelles per poi dar ragione alla Merkel in sede di confronti bilaterali, oppure è necessario rilanciare l’esigenza di una differente politica economica e monetaria che faccia uscire il vecchio continente dalla logica perversa dell’austerity?

Ecco, di tutto questo parleremo sabato 5 aprile, a Minturno, in un confronto mai visto prima.

#confrontomaivisto

L’evento Facebook lo trovate qui.

 

 

Rifuggire la faciloneria (e il leaderismo d’accatto)

L’ho riascoltato stamattina per radio, Walter Tocci. Me ne sono cibato prima di entrare in ufficio, seduto in macchina, parcheggiato sotto l’ufficio. E non fa niente se ho timbrato il cartellino più tardi di qualche minuto.

Sono mesi che Walter ci mette in guardia dai pericoli della faciloneria. Sono mesi che ci induce a ragionare. E di menti lucide come la sua, in giro, ce ne sono davvero poche.

Negli ultimi giorni un’analisi formidabile sui rischi derivanti dalla corsa alla riforma a tutti i costi. La riforma della legge elettorale connessa alle riforme costituzionali, che rischia di consegnare il Paese ad un leader quasi assoluto in assenza dei necessari contrappesi Costituzionali.

Qualche tempo fa Walter aveva ricordato il fallimento della sua generazione dal punto di vista costituente, visto che tutte le riforme della Carta fatte negli ultimi anni sono miseramente andate a vuoto. E ha chiesto di fermarsi, e di lasciare questo compito ad altri, ad un futuro Parlamento, quando ce ne saranno le condizioni: “Non tutte le generazioni hanno la vocazione a scrivere le Costituzioni. Che la nostra sia inadeguata al compito è ormai evidente. Lasciamo alle generazioni future il ripensamento dell’eredità costituzionale.”

Ecco, fanno bene le parole di Tocci, e sono davvero contento di averlo ospite a Minturno, per un evento di cui vi dirò tra qualche giorno.

E però rischiano anche di cadere nel vuoto. Anzi assistiamo attoniti all’importazione, nel PD, di forme di cesarismo che pensavamo dovessero appartenere solo alla parte a noi avversa. E invece, evidentemente, i germi del ventennio si sono insinuati trasversalmente. Solo così si spiega, tra le altre cose viste negli ultimi giorni, la proposta di inserire il nome del leader nel simbolo del PD. Roba da rabbrividire.

Il mio segretario, il mio PD

Elly Schlein e Andrea Ranieri. Mirko Tutino e Walter Tocci. Se c’è un’immagine che mi resta impressa nella mente alla fine della presentazione “ufficiale” della candidatura di Pippo Civati alla segreteria del PD, giovedì sera a Roma, è quella del patto generazionale. Amici e compagni di lungo corso che mettono a disposizione dei giovani la loro esperienza per rendere il PD migliore di quello che è attualmente. E lo fanno alla pari, mettendosi in discussione, contribuendo ad elaborare le proposte da offrire al Partito Democratico, ai suoi iscritti, ai suoi elettori. Sperimentalismo democratico e ricongnizione cognitiva. A chi tesseva le lodi di Fabrizio Barca senza avere la minima idea di ciò che significassero le sue parole voglio dire che noi, quel lavoro, l’abbiamo fatto. Nella mozione di Pippo c’è tutto questo. E sono orgoglioso di aver dato il mio modestissimo contributo alla formazione dei gruppi tematici che, a Roma, hanno lavorato a partire dal mese di maggio per elaborare proposte che poi sono finite nel documento congressuale. Militanti storici, neo iscritti, precari, professori universitari, ricercatori, studenti, sindacalisti, amministratori locali. Che si sono confrontati su economia, ambiente, diritti, giustizia, welfare, cultura, scuola, università, ricerca. Quello che andrebbe fatto nei circoli, appunto. Altro che votifici e sudete di autoanalisi collettiva. E, credetemi, sessantanove pagine non sono tante, se si vuole ragionare del futuro del PD e del Paese e non si vogliono lanciare spot pubblicitari, frasi ad effetto, slogan.

E poi Pippo.

La sua idea di sinistra. Le sue idee di sinistra, moderne e riformiste. Che molti vorrebbero far apparire radicali ma non si accorgono di quanto il PD, si sia spostato al centro, in questi anni (relatività applicata alla politica). Con le intese in lungo e in largo. Rinunciando a parlare in maniera chiara di uguaglianza, di beni comuni, di diritti, di ambiente, di conflitto di interesse (non solo quello enorme che tutti conosciamo, ma quelli piccolissimi che riguardano molti di noi). Perdendo per strada milioni di elettori che invece dobbiamo riportare a casa.

Pippo che non farà nemmeno una tessera, altrimenti questo congresso sarà un’altra occasione persa.

Pippo contento del fatto che sua figlia non potrà votarlo, perché tra diciassette anni di sicuro avrà smesso con la politica.

Pippo che non tira fuori la palle, perché c’è bisogno di ragionamento e non di urla. E basta con il maschilismo, anche in politica.

E chi non vuole vedere, sentire, ascoltare, resti cieco e sordo. Il cambiamento, quello vero, parte da ciascuno di noi. Altrimenti, davvero, ci terremo tutti quello che c’è.