Riprendo l'articolo apparso su l'Unità a firma di Cesare Buquicchio e ne riporto alcuni passi.
Nel 2010 i primi figli degli anni Settanta compiono 40 anni. Quella che dovrebbe essere l'età adulta, l'età della consacrazione, l'età giusta per prendere la guida della società, per gran parte di quella generazione rischia di essere soltanto l'età in cui ogni fallimento verrà acclarato. Nell'analizzare questo imminente naufragio e nel tentativo di rintracciare possibili, residue, vie di uscita, diventa sempre più difficile da rinviare un confronto-scontro con la ingombrante generazione dei padri, con coloro che da oltre 40 anni “occupano” il nostro Paese e che, al di là di qualche rituale discorsetto sulla necessità di un rinnovamento generazionale, non sembrano avere nessuna intenzione di mollare la presa.
Come è successo? Cosa c'è dietro una generazione partita per cambiare tutto e arrivata a desiderare che nulla cambi? Qual è la storia non scritta dei fallimenti di questi sessantenni e settantenni di successo? Quali sono le zone d’ombra della versione ufficiale (scritta, come sempre, solo dai vincitori)? Tutto è probabilmente cominciato dando risposte sbagliate a domande giuste. La società italiana del dopoguerra, in cui quella generazione si affacciava, aveva bisogno di cambiamenti in molti suoi aspetti. Dal ruolo della donna a quello dei lavoratori. Ma di quelle grandi aspettative di miglioramento e progresso cosa si è realmente realizzato? (…) Nei discorsi pubblici e in quelli privati arriva sempre il momento in cui, da qualche esponente della generazione dei padri, perlopiù se messo alle strette sulle sue responsabilità, giunge la domanda: “Ma allora perché voi non vi ribellate? Noi l’abbiamo fatto…”.
…Una delle maggiori difficoltà nell'affrontare un discorso sui conflitti generazionali, infatti, è quella della definizione del confine esatto tra una generazione e l'altra. Se individuare nonni, padri e figli, in una famiglia può riuscire relativamente facile, è, invece, più complicato districare blocchi sociali e anagrafici che si intersecano e si tangono. La consapevolezza della propria età anagrafica rende tutto più complesso. Sembra esserci una età simbolica in cui molti dei nodi che bloccano la nostra società vengono al pettine: i trentacinque anni. Da una parte la cronaca quotidiana e le vicende personali ci mettono di fronte le storie e i volti dei trentacinquenni veri. Storie drammatiche, come quella di Sergio Marra, l'operaio morto suicida il 31 gennaio vicino Bergamo dopo aver perso il lavoro.
Oppure storie di trentacinquenni tristi, di precari senza speranza, di “bamboccioni” incapaci di lasciare il nido domestico, di ex ragazzi che non riescono a far emergere la propria voce, di giovani stelle della politica che non riescono a guadagnarsi la scena che per pochi minuti prima di essere riassorbite nell'ingranaggio che ha progettato per loro un futuro da giovanili burocrati cinquantenni (“La Serracchiona” – la Repubblica, 1 aprile 2009 )….
Il tema è, a mio avviso, quello centrale. Lo scontro, anzi, il mancato scontro generazionale tra i 35enni e i nostri padri. Un Paese bloccato in ogni sua articolazione, e in primis nella politica, da una generazione che non molla perchè fatta di uomini (soprattutto uomini) che si ritengono indispensabili, insostituibili, semplicemente migliori.
Se guardo indietro nel tempo, fino ad arrivare ai giorni nostri, non mi sembra che i dirigenti del PD possano vantarsi di clamorosi successi, nell'arco della loro esperienza politica. Ma guai a ricordarglielo.
Ho passato il fine settimana scorso in compagnia di un pò di amici a Torino, e durante le nostre discussioni qualcuno (non ricordo chi e me ne scuso) ha pronunciato queste parole:
"Il migliore spot del PD in vista delle prossime elezioni sarebbe quello nel quale gli attuali dirigenti del partito annunciano di ritirarsi per lasciare spazio ai "giovani".
Ovviamente non accadrà, però ci impegneremo per far si che le nuove generazioni siano adeguatamente rappresentate nelle liste del PD. Con i consigli di Trevor e ispirandosi a quanto già fatto con successo negli States.
…l'Italia di Berlusconi è come se fosse stata messa nel congelatore. Mentre il resto del pianeta si evolve, cambia, si adegua alle novità tecnologiche l'Italia rimane immobile, fissa nella stessa posizione di 20 anni fa.
Discorso dirigenti del PD: inutile sperare che facciano un passo indietro e riconoscano i loro fallimenti. Non lo faranno mai.
Quindi? Aspettiamo il decorso naturale e diventiamo vecchi noi…oppure li accompagnamo all'uscita, forzandoli anche un po'.
Se dobbiamo continuare a perdere, tanto vale perdere innovando, facendo qualcosa finalmente di sinistra.
O.